La Stampa 30.3.18
Tra i dem si è aperto il dopo-Matteo
Pressing su Gentiloni per traghettare
No del premier. E Delrio si sfila dalla corsa per motivi familiari
di Fabio Martini
Quel
pomeriggio Maurizio Martina si presentò davanti ai deputati del Pd e,
lui così garbato, fu insolitamente sbrigativo davanti all’assemblea
riunita a porte chiuse: «Vi chiedo di non mettere in discussione il
complicato punto di equilibrio al quale siamo giunti nella
individuazione dei due capigruppo» e qualche attimo più tardi propose - e
ottenne - l’acclamazione per Graziano Delrio. Il nuovo presidente dei
deputati Pd fu eletto con un caldo applauso, il «reggente» Martina
incassò il risultato, ma tra i deputati - e poi tra i senatori - restò
una sensazione di dibattito strozzato, il tutto sintetizzato così da uno
di loro: «È la terza assemblea di gruppo che si apre e si chiude senza
il minimo dibattito, così non va». Un malumore che in poche ore era
diventato tam-tam tra i parlamentari Pd.
Era il 27 marzo. Ieri
mattina la quarta assemblea impostata nella stessa modalità, è stata
spiazzata dall’intervento a sorpresa del ministro Dario Franceschini e
poco dopo da quello di Andrea Orlando, capo della minoranza, che con
diversi accenti, hanno invocato l’avvio di una discussione sulla linea
del Pd tra i gruppi parlamentari e nel partito. Un modo per dire a
Martina (e al convitato di pietra Renzi, che pure non è il patron del
«reggente»), che la stagione del riserbo è finita. Due interventi che di
fatto hanno segnato l’avvio della stagione congressuale del Pd, che si
preannuncia lunga e dagli esiti imprevedibili. Le dimissioni, improvvise
e irrevocabili di Matteo Renzi dalla segreteria dopo la corposa
sconfitta del 4 marzo, a breve hanno prodotto un effetto «urla nel
silenzio», nel senso che hanno aperto una corsa alla leadership alla
quale per ora non ha aderito nessuno. O meglio nessuno è uscito allo
scoperto in modo esplicito, anche se dietro le quinte si muovono diverse
candidature. E si è aperto un pressing, per ora discreto e rimasto
riservato, su Paolo Gentiloni perché sia lui a diventare il
traghettatore del Pd.
In base al calendario statutario Renzi
sarebbe dovuto restare segretario fino al 2021, ma ora l’Assemblea
nazionale del Pd sarà chiamata a decidere l’agenda congressuale.
Convocato il 15 aprile, il «parlamentino» sarà posticipato, a data
ancora da fissare e senza colpi di scena sarebbe chiamato a registrare
le ambizioni, per ora espresse timidamente, di due quarantenni: il
bergamasco Maurizio Martina, 40 anni, che viene dalla organizzazione
giovanile dei Ds, l’erede della Fgci e il modenese Matteo Richetti, che
ha 4 anni in più e viene dalla «nidiata» di Pier Luigi Castagnetti,
ultimo segretario del Ppi e ancora oggi personaggio carismatico per una
generazione di cattolici democratici. Tanto è vero che lo stesso Renzi
indica a esempio un post su Facebook di Castagnetti sulle virtù dello
stare all’opposizione.
Martina è appoggiato da gran parte degli ex
Ds, mentre Richetti due giorni fa si è visto a pranzo con Renzi prima
di lanciarsi in pista, auspicando «primarie» per legittimare il nuovo
leader del Pd. Certo, nelle prossime settimane si intensificheranno le
pressioni su Graziano Delrio perché sia lui il «candidato di tutti», ma
il neo-capogruppo resiste per ragioni inusuali tra i politici: la
volontà di dedicare più tempo alla sua numerosa famiglia. Ecco perché
tre personaggi diversi tra loro come Walter Veltroni, Dario Franceschini
e Andrea Orlando, ognuno per conto suo, hanno chiesto in questi giorni a
Paolo Gentiloni di prendersi la croce e traghettare il Pd verso una
sponda meno accidentata. La prima risposta è stata un «no grazie», ma il
giorno della decisione è ancora lontano.