La Stampa 30.3.18
La lega, il razzismo e gli abbagli del Senato
di Vladimiro Zagrebelsky
Il
presidente Mattarella ha nominato senatrice a vita Liliana Segre,
sopravvissuta alla deportazione nei campi nazisti, che subì da bambina
ebrea. La nomina da parte del presidente della Repubblica – di cui va
ricordato il primo gesto, appena eletto, di recarsi a rendere omaggio
alle vittime delle Fosse Ardeatine – ha un evidente significato
simbolico, così come l’ha avuto il levarsi in piedi di tutti i senatori
al primo ingresso della senatrice Segre nell’aula del Senato. Tutti i
senatori, salvo uno, Roberto Calderoli (ora appena rieletto vice
presidente). Allo sconcerto scandalizzato di chi lo ha rilevato,
Calderoli ha risposto: ma no, non avete capito, è solo che io sono
contrario ai senatori a vita! Dunque nulla a che vedere con razzismo e
antisemitismo.
Anche un’altra volta il senatore Calderoli non è
stato capito: quando in un comizio tenuto in un grande raduno della Lega
ebbe a dirsi sconvolto nel vedere sul sito del governo la fotografia
del ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge, le cui sembianze gli
ricordavano quelle di un orango. L’onorevole Kyenge non presentò querela
per l’offesa ricevuta. Il suo non fu soltanto segno di elegante
superiorità, ma anche un chiaro gesto politico, poiché lasciò alle
istituzioni repubblicane l’onere di reagire all’attacco razzista. Le
manifestazioni di razzismo non riguardano solo chi ne rimane vittima, ma
colpiscono nel suo complesso una comunità che si è data una
Costituzione fondata sul rispetto della dignità e sull’eguaglianza di
tutte le persone. Era dunque da aspettarsi una ferma reazione, non
individuale della persona offesa, ma delle istituzioni pubbliche. Eppure
questa è mancata da parte del Senato. Chiamato a decidere se Calderoli
avesse pronunciato quelle parole nell’esercizio delle sue funzioni di
parlamentare e fossero quindi insindacabili dal giudice che procede per
diffamazione aggravata dalla motivazione razzista, il Senato ha escluso
l’insindacabilità per quanto riguarda la diffamazione, ma l’ha affermata
per il profilo razzista.
In Senato Calderoli aveva detto di
essersi scusato con l’onorevole Kyenge per avere usato un’espressione
forte, ma fatta esclusivamente come battuta ad effetto, visto che il
contesto, oltre che politico era anche ludico e, cioè, quello di una
festa estiva organizzata dal suo partito. Si era trattato insomma di
espressioni scherzose, per ridere, non per offendere. D’altronde, come i
colleghi senatori sapevano, lui è solito far battute e il linguaggio
offensivo è ormai divenuto comune anche nell’aula del Senato. Insomma
non era stato capito e non era il caso di prendere sul serio quelle
espressioni, infelici, ma non offensive e soprattutto non razziste.
Quest’ultimo punto era particolarmente importante anche sul piano
giudiziario, perché, cadendo l’aggravante della motivazione razzista, il
reato di diffamazione cessava di essere perseguibile di ufficio e, come
già ricordato, l’onorevole Kyenge non aveva presentato querela. I
senatori hanno seguito l’autorevole collega e con un’ardita decisione
hanno detto che effettivamente le espressioni offensive erano state
usate fuori delle funzioni parlamentari, ma che la loro natura razzista
era invece coperta dall’insindacabilità costituzionale. Decisione
abnorme perché la qualificazione giuridica dei fatti spetta al potere
giudiziario e non al Parlamento. Ora la Corte Costituzionale ha
annullato la decisione del Senato, con la conseguenza che il tribunale
può procedere per il reato di diffamazione aggravato dalla finalità di
discriminazione razziale. Il sistema dei confini tra i diversi poteri
dello Stato e del controllo della loro osservanza – rimesso alla Corte
Costituzionale – ha dunque funzionato e c’è da rallegrarsene, per il
passato e per il futuro. Ma resta il fatto che il Senato ha accettato
che anche l’insulto razziale possa essere null’altro che una battuta per
far ridere, così banalizzando espressioni e atteggiamenti razzisti su
cui, invece che tolleranti, insensibili o addirittura scherzosi,
occorrerebbe essere vigili e reattivi. Tanto più che vi sono stati anche
altri incidenti simili. Qualche anno fa, per certe espressioni del
ministro dell’Interno Maroni contro i rom, intervenne il commissario ai
Diritti umani del Consiglio d’Europa, preoccupato per l’effetto che
certo linguaggio ha sulla formazione dell’opinione pubblica,
legittimando atteggiamenti razzisti. Ed è proprio questo il profilo più
preoccupante. Non solo esponenti della Lega si lasciano andare a
espressioni razziste, ma evidentemente lo fanno perché sono certi
dell’approvazione del loro elettorato. Calderoli sorrise dicendo che
l’onorevole Kyenge gli faceva venire in mente un orango, ma con lui, in
quel comizio della Lega, risero le diverse migliaia di festanti
convenuti.