La Stampa 28.3.8
Migranti salvati in mare
Il gip sconfessa la Procura di Catania
Contro la Ong cade l’accusa di associazione a delinquere
In
 corteo “Salvare le persone non è un crimine” è lo striscione portato 
dai sostenitori della Ong spagnola durante le proteste della scorsa 
domenica a Barcellona
di Fabio Albanese
La nave 
«Open Arms» resta sotto sequestro. Ma il gip di Catania boccia la linea 
della procura etnea, che aveva ipotizzato il reato di associazione per 
delinquere per alcuni componenti della Ong spagnola ProActiva, e manda 
alla Procura di Ragusa gli atti dell’inchiesta. Il contestato 
salvataggio di migranti di due settimane fa al largo della Libia, 
effettuato da ProActiva e finito nella lente degli investigatori 
italiani, per il capo dei gip di Catania Nunzio Sarpietro si può 
considerare come «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina» ma il 
reato associativo non c’è perché gli indagati sono due, e non tre come 
ipotizzavano i pm catanesi (l’associazione per delinquere scatta con 
almeno tre persone).
Nel provvedimento urgente con cui lo scorso 
18 marzo nel porto di Pozzallo, nel Ragusano, fu sequestrata la nave, ai
 nomi dei due indagati che erano a bordo (la capo missione Ana Isabel 
Montes Mier e il comandante Marc Reig Creus) fu aggiunto quello del 
responsabile delle operazioni Gerard Canals che si trovava a Barcellona e
 il cui nome fu ricavato dagli interrogatori degli altri due: 
«Dichiarazioni non utilizzabili», scrive il gip, perché rese quando i 
due «erano già stati raggiunti da elementi indizianti».
Caduto il 
reato di associazione, «trattato» dalle direzioni distrettuali (quale è 
la Procura di Catania), l’inchiesta va dunque alla procura di competenza
 per il solo favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, cioè quella 
di Ragusa: reato che il gip di Catania ritiene fondato. Una complessa 
questione, dunque, che però lascia intatta una parte fondamentale 
dell’inchiesta: gli indagati «hanno manifestato la precisa volontà di 
portare i migranti solo nel territorio dello Stato italiano e, in 
particolare, in Sicilia, disattendendo volutamente tutte le indicazioni e
 le disposizioni impartite dalle autorità superiori».
Quel 15 
marzo, quando la «Open Arms» si trovava in acque internazionali al largo
 della Libia, i responsabili della nave si sarebbero rifiutati di 
obbedire all’ordine, arrivato dalla sala operativa di Roma, di «cedere» 
le operazioni di salvataggio alla Guardia costiera libica che ne aveva 
assunto il controllo; inoltre, non avrebbero accolto la disposizione 
arrivata sia dalla sala operativa di Madrid sia da quella di Roma di 
chiedere alle autorità di Malta, cui la «Open Arms» aveva appena 
consegnato una madre con la sua bimba gravemente malata, di poter 
sbarcare alla Valletta anche gli altri 216 migranti che aveva a bordo. 
Comportamenti che, dice il gip di Catania, fanno pensare che per la Ong 
siano solo in Italia i porti in cui far arrivare i migranti, in 
violazione sia delle leggi italiane sull’immigrazione sia del codice di 
autoregolamentazione delle Ong con il Viminale, che ProActiva ha firmato
 l’estate scorsa.
Il gip cita un rapporto in cui la Guardia 
costiera italiana ricostruisce i fatti dal giorno del soccorso, il 15 
marzo, a quello dello sbarco a Pozzallo, il 17; l’indomani la nave 
sarebbe stata posta sotto sequestro. Dal rapporto, peraltro, si evince 
come le prime informazioni sulle attività della Guardia costiera libica 
arrivino a Roma direttamente da Tripoli ma da bordo di una nave della 
Marina italiana, la «Capri» dell’operazione Nauras. In una lunga nota, 
il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, tra l’altro, fa notare come 
«il gip ha mostrato di condividere l’impostazione» della procura sulle 
accuse alla Ong mentre sull’ipotesi associativa, il gip «ha rilevato la 
necessità di ulteriori approfondimenti che questo ufficio sta già 
effettuando». Da Bruxelles, il fondatore di ProActiva Oscar Camps dice 
che in Italia l’aria è cambiata: «Non abbiamo mai disobbedito a ordini 
durante l’operazione», aggiungendo che «c’è un codice di condotta, ma ci
 sono anche convenzioni internazionali» da rispettare.
 
