mercoledì 28 marzo 2018

il manifesto 28.3.18
Open Arms, per il gip cade l’associazione a delinquere
Di mare in peggio. Alla ong contestata l’immigrazione clandestina. L’inchiesta passa alla procura di Ragusa
di Leo Lancari


L’accusa più pesante, quella di associazione per delinquere contestata al capitano e alla capomissione della nave Open Arms, è caduta. Resta, invece, quella di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina insieme al sequestro della nave, che per ora resta ancorata nel porto di Pozzallo in attesa che sia la procura di Ragusa a decidere sul suo futuro.
Sono durate otto giorni alcune delle contestazioni rivolte dalla procura distrettuale di Catania alla ong spagnola Proactiva, finita nel mirino per essersi rifiutata, il 15 marzo scorso, di consegnare 117 migranti salvati in acque internazionali nelle mani della Guardia costiera libica che li avrebbe ricondotti nel paese nordafricano. La decisione del gip di Catania Nunzio Sarpietro sottrae quindi l’inchiesta al procuratore etneo Zuccaro per trasferirla alla procura di Ragusa, ed è stata accolta con soddisfazione dall’avvocato Alessandro Gamberini, che assiste la Proactiva. «Giudico molto importante e significativo che sia caduta l’accusa strumentale di associazione per delinquere – è stato il commento del legale -. Questa decisione riporta in un alveo di legalità una vicenda che era stata sradicata dal suo giudice naturale».
L’ultima inchiesta su una ong attiva nel Mediterraneo è cominciata due settimane fa con la comunicazione da parte di Mrcc di Roma, la sala operativa che coordina i salvataggi in mare, di tre gommoni in difficoltà. Una procedura uguale a tutte le volte precedenti, salvo che per un particolare subito notato dall’equipaggio della Open Arms: la comunicazione da parte della Guardia costiera italiana che il coordinamento dei soccorsi sarebbe stato preso dai militari di Tripoli. Cosa che si concretizza quando ai volontari della ong spagnola si avvicina una motovedetta libica pretendendo, sotto la minaccia delle armi, la consegna delle donne e dei bambini già tratti in salvo. Tutto si sblocca solo quando, dopo due ore di alta tensione, i libici lasciano andare la Open Arms che dirige verso nord.
E’ questo punto che, secondo il gip di Catania, si potrebbe ipotizzare il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il comandante della Open Arms, Marc Reig Creus, ha infatti dichiarato di non aver chiesto alle autorità di Malta di poter sbarcare i migranti conoscendo bene il rifiuto sempre manifestato dall’isola verso una simile possibilità. Circostanza che però, per il gip Sarpietro, in questo caso «è rimasta indimostrata a causa delle condotta del comandante della Open Arms che non ha risposto alle autorità maltesi e non ha aderito alle disposizioni impartite dalle autorità spagnole e italiane, le quali avevano indicato il porto sicuro di la Valletta». Per il gip, quindi, sarebbe esistita da parte degli indagati «la precisa volontà di portare i migranti solo nel territorio dello Stato italiano e, in particolare, in Sicilia». Contestata, infine, anche la decisione di non aver voluto consegnare donne e bambini ai libici. «Il fatto che i campi profughi Libia non siano un esempio di limpido rispetto dei diritti umani – è scritto nel provvedimento – non determina automaticamente che le ong possano operare in autonomia e per conto loro, travalicando gli accordi e gli interessi degli Stati coinvolti dal fenomeno migratorio».
Le operazioni in mare di Proactiva Open Arms «continueranno» nonostante il sequestro della nave e l’accusa di favoreggiamento di immigrazione clandestina, ha dichiarato ieri il fondatore della ong spagnola, Oscar Camps ricordando come, rifiutandosi di consegnare i migranti ai libici, l’equipaggio «abbia rispettato pienamente il diritto internazionale». Anche perché, ha sottolineato Camps, i «migranti non volevano» tornare in Libia sapendo bene cosa li attendeva. «In nessuna parte del codice della ong che abbiamo firmato c’è scritto che le operazioni a un certo punto sarebbero state affidate ai libici» ha proseguito Camps, per il quale «le regole non possono essere cambiate nel bel mezzo di un’operazione di soccorso».