La Stampa 28.3.18
Evasione fiscale: punto debole di Lega e 5stelle
di Stefano Lepri
Su
come meglio abbassare le tasse, Lega e M5S in campagna elettorale sono
apparsi distanti. Ma per altri versi quanto al fisco sono vicini.
Entrambi intendono demolire parecchi strumenti esistenti per la lotta
all’evasione. In altri momenti, le frasi pronunciate ieri da Padoan a un
convegno della Guardia di Finanza sarebbero state classificate come
retorica di rito da parte di chi occupa quella carica: occorre
«respingere ogni tolleranza verso l’evasione fiscale» poiché «il
rispetto delle regole aiuta ad accrescere la fiducia reciproca fra
Stato e cittadini».
Non
così ora. Cinque Stelle e Lega concordano nel dichiarare indulgenza
verso quella che chiamano «evasione di necessità». Il fenomeno certo
esiste: sappiamo che se per magia tutti cominciassero a pagare per
intero quanto dovuto, con le aliquote fiscali attuali molte piccole
imprese chiuderebbero.
Se tuttavia si abbandona ogni tentativo di
cambiare, il sistema Italia sarà sempre più frenato dalla concorrenza
sleale che l’impresa truffaldina fa all’impresa efficiente; e non ci
sarà spazio sufficiente per ridurre le aliquote a beneficio di ognuno.
Qui
si vede il limite vero del populismo, che riassume in slogan rabbie
disparate, senza cercare di capire come i divergenti interessi dei
cittadini possano essere conciliati. Il giusto desiderio comune di
pagare meno tasse non può essere soddisfatto se troppi vengono lasciati
liberi di pagarne meno per conto proprio.
Con il concetto di
«evasione di necessità» la Lega giustifica la proposta di un nuovo
condono fiscale. Nella passata legislatura il M5S se ne indignava,
adesso non è chiaro. Vengono ugualmente incontro all’evasione altre
misure previste da Luigi Di Maio e soci.
Al quinto tra i 20 punti
sintetici del programma grillino si legge: «Abolizione reale degli studi
di settore, dello split payment, dello spesometro e di Equitalia». E
subito dopo: «Inversione dell’onere della prova, il cittadino è onesto
fino a prova contraria».
A parole suona bene. Ma, senza entrare
nei dettagli, la cosiddetta inversione renderebbe difficilissimo
combattere la pratica delle fatture false, strumento principale con il
quale si evade l’Iva più che in ogni altro Paese europeo.
Gli
«studi di settore», parametri di ricavi che commercianti e piccoli
imprenditori non amano, spariranno comunque dal 2019, sostituiti da
«indicatori sintetici di affidabilità». Studiati d’intesa con le
categorie interessate, a partire dalla Confcommercio, premieranno chi si
comporta meglio invece di punire chi non si conforma. La Lega boccia
anche questi rifiutando «ogni forma di pagella».
Lo «split
payment», in italiano scissione dei pagamenti, significa che le
pubbliche amministrazioni quando comprano qualcosa non pagano l’Iva, la
trattengono per versarla direttamente al fisco. Esteso per gradi, ha
eliminato due miliardi di euro di evasione nel 2015 e nel 2016, un
miliardo ancora nel 2017; nel bilancio 2018 dovrebbe fruttare altri 1,5
miliardi netti.
Il guaio è che a vendere beni o servizi allo Stato
si finisce così in credito di imposta, e spesso il rimborso tarda.
Sarebbe il caso di concentrarsi su questo grave inconveniente, piuttosto
che buttare via tutto e trovarsi un buco grosso nel gettito. Anche la
Lega vuole porre fine allo split payment, benché usi una formula meno
chiara.
Insomma si rischia di danneggiare la maggioranza dei
contribuenti per soddisfare una minoranza che strilla. Ma non era
proprio per protestare contro questo andazzo che gli elettori hanno
mutato le loro scelte in modo drastico?