Il Fatto 28.3.18
Calenda e il suono muto che fa il potere quando se ne va
di Marco Palombi
Erano
giorni che convivevamo con un senso di vuoto, una strana nostalgia
sotto lo scorrere delle ore. Solo ieri, leggendo il Corriere, ne abbiamo
compreso il motivo: ci mancava Calenda. Il ministro ha voluto però
confortarci con un’intervista che è la summa dello stato
intellettualmente comatoso della soi-disant classe dirigente italiana:
il vincolo esterno come religione (“dobbiamo fare una manovra che porta
il deficit allo 0,9% nel 2019”) e manganello (“chi non sta alle regole,
si mette fuori dalla costruzione europea”); una passione eccessiva per
il project fear (“se l’Europa entra in tensione, un attacco sull’Italia
può partire rapidamente”); una sostanziale rimozione della realtà (“i
governi del Pd hanno affrontato bene i problemi e la difesa dei deboli…
ma hanno dato poca legittimità alle paure”). Il vero tesoro di quel
testo è, però, il lato umano. Dice Calenda della sua vita nel Pd: “Mi
sono iscritto, ho fatto due riunioni in sezione e presenziato alla
direzione. Fine”. E il reggente Martina non chiama? “Non ultimamente”.
Questo ci ricorda un vecchio aneddoto. Un romanissimo cronista in
pensione va a trovare l’altrettanto pensionato altissimo dirigente
d’azienda, che ha aperto una sua piccola società. Il manager parla con
entusiasmo del nuovo lavoro finché la conversazione si spegne. Il
cronista guarda l’imprenditore, poi il telefono sul tavolo: “Non te sòna
più, eh?”. E s’intende che il telefono muto è il suono che fa il potere
quando se n’è andato. Questo di norma, quando non chiama nemmeno
Martina è peggio.