mercoledì 28 marzo 2018

Repubblica 28.3.18
Il reddito di cittadinanza
Quei poveri dimenticati
di Chiara Saraceno


Il compromesso offerto da Salvini a Di Maio sulla questione del sostegno al reddito per convincerlo a fare il governo insieme ha il merito di far uscire il reddito di cittadinanza del M5S dalla nebulosa in cui è stato intenzionalmente tenuto in campagna elettorale sia dai suoi nemici sia dal M5S stesso. La proposta di Salvini di istituire un reddito di accompagnamento al lavoro per un massimo di tre anni, infatti, non è sostanzialmente molto diversa da ciò che i 5 Stelle chiamano impropriamente reddito di cittadinanza, salvo che per la durata fissa. Anche la proposta M5S riguarda un reddito destinato ai disoccupati che vivono in famiglie povere, purché si attivino per la ricerca del lavoro, con l’ulteriore vincolo che, dopo aver rifiutato tre proposte “non congrue”, devono accettare qualsiasi lavoro loro offerto, anche se largamente al di sotto delle loro qualifiche.
Entrambe le proposte, quindi, richiedono di “ attivarsi” per cercare lavoro. Inoltre non guardano a tutti i poveri, ma solo ai disoccupati poveri, ignorando che si può vivere in una famiglia in povertà assoluta, non solo relativa, anche avendo una occupazione, se questa è pagata poco e/o precaria e se il reddito che ne deriva è l’unico in famiglia. Sembrano anche considerare l’accesso a una occupazione facilmente attuabile da persone che spesso sono a bassa qualifica, o non hanno le caratteristiche richieste da un mercato del lavoro che non ha ancora recuperato tutta l’occupazione perduta dalla crisi e mai la recupererà, almeno non dello stesso tipo.
Nel migliore dei casi, per recuperare, o rafforzare, la propria “ occupabilità” queste persone hanno bisogno di tempo e servizi formativi seri, non solo di agenzie del lavoro, peraltro tutte da riorganizzare. Se donne con pesanti carichi famigliari (bambini piccoli, persone non autosufficienti), poi, hanno anche bisogno di servizi accessibili e di buona qualità. Sempre che i potenziali datori di lavoro non le scartino, appunto perché madri o comunque con responsabilità di cura, cosa che succede molto spesso.
Le domande presentate in questi mesi prima per il Sia e poi per il Rei, il reddito di inclusione che finalmente ha introdotto in Italia una misura universale di contrasto alla povertà, segnalano quanto complessi possano essere i bisogni dei più poveri e quanto sia necessario un intervento integrato, di cui le agenzie del lavoro possono essere un attore importante, ma non l’unico.
Sarebbe quindi importante capire che cosa MS5 e Lega intendano fare di questo strumento, che sta muovendo i primi passi e per rivelarsi efficace ha bisogno di tempo, oltre che di risorse aggiuntive. Vogliono sostituirlo con il loro, gettando via il paziente lavoro che ha portato alla sua approvazione sotto la spinta dell’azione di molti attori della società civile e che ora vede impegnati gli enti locali e l’Inps in una complessa opera di riorganizzazione e di messa in rete di soggetti diversi? Lasciarlo vivacchiare destinando nuove risorse al loro strumento, secondo la tradizione italiana per cui l’innovazione sociale non riesce mai a giungere a maturazione e a fare sistema, ma diventa un frammento più o meno provvisorio?
Sarebbe invece auspicabile che destinassero parte delle risorse aggiuntive che vorrebbero impegnare per le loro proposte a rafforzare il Rei, perché diventi davvero una misura universalistica destinata a tutti i poveri assoluti e perché, oltre a un sostegno al reddito più adeguato dell’attuale, riesca a offrire anche le previste e necessarie risorse di integrazione sociale, tra cui l’accompagnamento al lavoro di chi è effettivamente occupabile. Sarebbe una soluzione meno costosa delle due proposte di cui si discute, ma più ragionevole e completa.