martedì 27 marzo 2018

La Stampa 27.3.18
Aggressioni e tombe profanate
La Francia nell’incubo antisemitismo
In aumento gli episodi di intolleranza, picchiato bimbo con la kippah Dopo Charlie Hebdo sempre più ebrei hanno lasciato il Paese
di Paolo Levi


«L’antisemitismo è l’onta della Francia»: nell’ultimo incontro con i responsabili del Crif - l’organo rappresentativo degli ebrei di Francia - Emmanuel Macron ha promesso una risposta «implacabile» contro quello che bolla come il «flagello» della République. Con circa mezzo milione di persone, la Francia è la prima comunità ebraica dell’Europa occidentale e gli atti antisemiti, tra insulti, tombe profanate e aggressioni segnano la cronaca locale e nazionale. Appena pochi giorni fa, Aurélien Enthoven, figlio di Carla Bruni-Sarkozy e del suo ex compagno filosofo Raphael Enthoven, è stato vittima del più cieco livore dei social, tra insulti antisemiti, minacce di morte, frasi irripetibili contro la madre, solo perché aveva detto in un video che «le razze non esistono».
A fine gennaio suscitò indignazione l’episodio di un bimbo ebreo di 8 anni aggredito in strada a Sarcelles, mentre si recava a lezione con in testa una kippah. Dopo un 2015 segnato dai primi attentati jihadisti a Parigi e da un numero record di azioni e minacce antisemite, il 2016 ha registrato un netto ripiegamento (-58,5%), pur rimanendo a un livello preoccupante. Impietoso il quadro descritto dal presidente del Crif, Francis Kalifat, che si appella al governo affinché «ovunque in Francia venga ripristinata l’autorità dello Stato», con una «politica di tolleranza zero e sanzioni esemplari per contrastare l’antisemitismo del quotidiano che - avverte - prospera nel nostro Paese». Anche perché, questa la sua riflessione, «siamo schiacciati tra l’antisemitismo tradizionale prevalentemente di estrema destra e l’antisemitismo antisionista prevalentemente di estrema sinistra», a cui si aggiunge «l’antisemitismo musulmano molto radicato tra i giovani di 15-25 anni». Con l’aumento degli attentati contro cittadini e simboli ebraici, il crescente antisemitismo in banlieue e le stragi dell’Isis, negli ultimi anni circa 5000 ebrei ogni dodici mesi hanno deciso di lasciare la Francia ed emigrare in Israele, la cosiddetta «Aliyah». Dopo il massacro al supermercato kasher di Porte de Vincennes (gennaio 2015, due giorni dopo l’attacco alla redazione del settimanale Charlie Hebdo), fu lo stesso premier israeliano Bibi Netanyahu a tendere la mano agli ebrei sotto shock: «Il vostro avvenire è in Israele, tornate nella vostra patria».
Un appello a cui quell’anno aderirono in 7900, un record assoluto nella recente storia del Paese. L’affermazione scatenò una polemica con Manuel Valls allora primo ministro. «La Francia non sarebbe più la stessa se i nostri connazionali ebrei dovessero abbandonarla perché hanno paura», ha detto di recente Macron, che due settimane fa ha presentato un nuovo piano contro il razzismo e l’antisemitismo per il biennio 2018-2020. La sua principale sfidante alle presidenziali, Marine Le Pen, invitò gli ebrei a non indossare in pubblico la kippah perché a suo parere «potrebbe essere pericoloso». Aggiunse che per «sconfiggere l’estremismo islamico ci vuole uno sforzo congiunto che richiede sacrifici da parte di tutti».
Parole che suscitarono proteste al veleno. In questi ultimi anni, la leader del Front National ha cercato di fare il possibile per cancellare la pesante eredità del padre Jean-Marie Le Pen, più volte condannato per le sue uscite antisemite e razziste, come quando considerò le camere a gas un «dettaglio della storia». A gennaio, il grande editore Gallimard ha invece rinunciato al contestato progetto di ripubblicare gli scritti antisemiti di Louis-Ferdinand Céline, ritenendo che non ci sono ancora le condizioni per sviluppare «serenamente» il progetto.