lunedì 26 marzo 2018

La Stampa 26.3.18
Eppur si suonava le note sfuggite all’orrore
Le musiche composte dagli internati nei lager erano un aiuto per sopravvivere. Francesco Lotoro le ha recuperate e in aprile ne saranno eseguite alcune per la prima volta a Gerusalemme
di Caterina Soffici


Sono musiche composte nei lager nazisti e mai più suonate. Alcune scritte su carta igienica o di giornale, altre trafugate in faldoni poi rocambolescamente ritrovati in soffitte a migliaia di chilometri di distanza, altre ancora memorizzate e poi trascritte dai sopravvissuti. È la resistenza dell’uomo di fronte all’orrore. La dimostrazione che anche la barbarie più atroce non riesce a togliere all’uomo la creatività. L’arte e la musica hanno aiutato questi uomini e donne a sopravvivere, vie di fuga e spazi di libertà dietro il filo spinato. Alcune delle musiche salvate verranno suonate per la prima volta a Gerusalemme in aprile dall’orchestra sinfonica israeliana di Ashdod, in uno degli eventi per celebrare il 70° anniversario della fondazione dello Stato di Israele.
Dietro questa storia c’è la missione di un uomo, il pianista e compositore italiano Francesco Lotoro, 54 anni, originario di Barletta, che per 30 anni ha dato la caccia agli spartiti perduti ed è riuscito a rintracciare migliaia di canzoni, sinfonie e persino opere. Circa ottomila partiture, 12 mila documenti, centinaia di interviste ai sopravvissuti. Piccoli pezzi per spettacoli di marionette o semplici canzonette, pezzi sacri o grandi opere sinfoniche. La ricerca è iniziata dal lager di Dachau e poi si è estesa alla musica creata in tutti i luoghi di cattività durante la Seconda guerra mondiale, per arrivare fino al 1953, con l’amnistia per gli ultimi prigionieri tedeschi nei gulag. Lotoro ha raccolto materiali di ebrei, cristiani, zingari, comunisti, sufi, prigionieri civili e militari da tutti gli angoli del mondo, fino al Giappone e le Filippine. Nei suoi piani c’è anche la pubblicazione di un Thesaurus Musicae Concentrationariae, enciclopedia in 12 volumi che dovrebbe essere terminata nel 2022.
Un progetto mastodontico cui Lotoro ha dedicato la vita e che è stato anche raccontato nel film-documentario Il Maestro del regista argentino Alexander Valenti. «Le composizioni dei campi di concentramento sono un patrimonio mondiale, un’eredità per quegli artisti che, nonostante abbiano perso la libertà nelle circostanze più inimmaginabili, hanno perseverato attraverso la musica. Attraverso il concerto ci stiamo impegnando per ridare vita e dignità a questi artisti» ha spiegato Lotoro.
Tra i pezzi che verranno eseguiti per la prima volta in pubblico a Gerusalemme c’è una canzone scritta dalla poetessa e musicista ebrea Ilse Weber, che lavorava come infermiera nell’ospedale del campo di Theresienstadt e aveva insegnato alcune delle sue composizioni ai bambini reclusi. Ilse decise di seguire volontariamente, con il figlio Tommy, il marito Willi deportato ad Auschwitz nel 1944. Tutta la famiglia finì nei formi crematori ma la musica di Ilse, che non era mai stata scritta, è sopravvissuta grazie ad Aviva Bar-On, una delle bambine del campo, che si è salvata. L’aveva memorizzata e adesso la canterà per la prima volta.
Sarà suonato anche un brano intitolato Tatata, di Willy Rosen e Max Ehrlich che, prima della deportazione da Westerbork ad Auschwitz, riuscirono a far uscire dal campo una cartella dei loro manoscritti. Rosen era un compositore ebreo tedesco, cantautore e noto cabarettista, assassinato ad Auschwitz nel settembre del ’44. Ehrlich, attore, sceneggiatore e regista, era come Rosen una figura di spicco nella scena del cabaret tedesco negli anni 30. La cartella contenente la loro musica è stata ritrovata decenni dopo la fine della guerra in un attico nei Paesi Bassi e stava per finire nella spazzatura di un trasloco.
Tra le storie raccolte da Lotoro c’è quella di Rudolf Karel, allievo di Dvorák, morto a Terezín, che grazie alla dissenteria da prigioniero ha potuto scrivere un’opera in cinque atti sulla carta igienica, salvata poi da un secondino. Un altro musicista, Hans Van Collem, utilizzava i campi di patate come pentagramma e poi chiedeva ai compagni di memorizzare le note e trascriverle su carta igienica o di giornale: con questo sistema compose il Salmo 100 per coro maschile che venne eseguito di nascosto nelle latrine. Un altro prigioniero polacco dotato di memoria formidabile mise a disposizione dei suoi compagni di prigionia il suo prodigioso talento e come un registratore umano memorizzò centinaia di brani. Si salvò e fu ricoverato a Cracovia nel 1945. Pensavano che la guerra l’avesse fatto impazzire, perché non poteva smettere di cantare. Ha trascritto 764 canzoni scritte nei lager.