La Stampa 22.3.18
I dati di Facebook condizionano il cliente elettore
di Massimiliano Panarari
Il
datagate si ingrossa sempre di più, trascinando nella polvere uno dei
pilastri di quel capitalismo delle piattaforme che si è incarnato nella
«quadriade» dei Gafa (Google, Apple, appunto Facebook, e Amazon). E
proprio mentre Davide Casaleggio – leader para-carismatico di una
forma-partito che alla comunicazione online deve tantissimo – celebra
sul Washington Post le sorti magnifiche e progressive della democrazia
orizzontale internettiana, destinata a scalzare la «castale» versione
delegata, ci troviamo di fronte all’emersione di alcune evidenze del
lato oscuro del web. E precisamente da qui provengono talune delle
molteplici minacce che le nostre affaticate democrazie liberali si
trovano a dover affrontare in questi anni, ampiamente sottovalutate
dalle classi politiche «di sistema», e altrettanto largamente sfruttate,
in tutta probabilità, da parte almeno di quelle anti-establishment.
L’affaire
Cambridge Analytica rappresenta la punta avanzata (nella fattispecie,
degenerata) del matrimonio tra strategie di marketing e sviluppo
tecnologico, a cui va ricondotta la capacità delle piattaforme digitali
di acquisire notizie sempre più dettagliate sui propri utilizzatori e
clienti. Queste informazioni personali alimentano l’attività di analisi e
studio dei Big Data, i complessi e giganteschi aggregati di dati –
bisognosi di trattazione mediante algoritmi e tecniche informatiche
sofisticate perché enormemente più grandi dei consueti database – con i
quali si va molto oltre quella tradizionale suddivisione degli elettori
secondo classi socio-demografiche e categorie professionali su cui a
lungo si sono costruiti il proselitismo e la comunicazione dei partiti
durante il secondo Novecento. E si entra così nello stadio della
propaganda computazionale, che consente di effettuare la
«superprofilazione». Ogni giorno, navigando sulla rete e interagendo sui
social network, gli utenti riversano maree di informazioni sulle
proprie preferenze e stili di comportamento; e lo fanno, non di rado, in
maniera totalmente inconsapevole, non leggendo le informative oppure
dando con leggerezza il proprio consenso per poter utilizzare qualche
app (com’è avvenuto nel caso di cui si parla in questi giorni). Si
possono così stabilire delle correlazioni estremamente precise e
minuziose perché basate su set vastissimi di dati anziché su campioni
statistici; e ne deriva, quindi, la possibilità di effettuare previsioni
sempre più attendibili e accurate sul comportamento dei soggetti.
Attraverso le tecniche di data mining si rivela così possibile delineare
la propensione di voto del singolo individuo, e con quelle di
microtargeting focalizzare la comunicazione per fargli arrivare messaggi
iperpersonalizzati. Come pure «spacchettare» e differenziare lo stesso
messaggio, inviandolo in modo ancora più mirato ai destinatari già
individuati come propensi a seconda del sottogruppo socioculturale a cui
appartengono.
Vista la pervasività delle tecnologie digitali
nella nostra vita, e la valenza dei social media di dispensatori
praticamente esclusivi di news per tanti dei loro fruitori, alla
categoria di cittadini-elettori dovremmo affiancare quella di
utenti-elettori. L’ennesima metamorfosi di quell’idea di opinione
pubblica su cui si fondano i nostri fragili (e irrinunciabili) sistemi
politici rappresentativi, le cui classi dirigenti si sono rivelate
impreparate, una volta di più, ad affrontare una mutazione di grande
portata. Il «Leviatano 3.0» (i colossi high-tech), nei suoi momenti di
scontro con quello «1.0» (lo Stato nazione), si è largamente avvalso
della narrazione della Rete come infinita e immateriale casa di vetro –
tante sono le conferenze in materia di Mark Zuckerberg. Centinaia di
migliaia di iscritti a Facebook si sono ritrovati invece dentro a un
Panopticon. Ed è proprio questa dimensione al tempo stesso «totalitaria»
e assai strumentale dell’ideologia della trasparenza che oggi, al
cospetto del suo evidente naufragio – tra black propaganda, disprezzo
della privacy e occultamento dei profitti in vari paradisi fiscali –
andrebbe rimessa con forza in discussione nel discorso pubblico.