La Stampa 22.3.18
Israele svela il raid contro il reattore di Assad e mette in guardia l’Iran sui piani nucleari
Resa nota la missione top secret del 2007 in Siria: “Nessuno può minacciarci”
di Giordano Stabile
Fino
al decollo, in una notte tiepida di settembre, i piloti avevano
scherzato sui nomignoli dati all’obiettivo, il «Cubo», detto anche «Cubo
di Rubik», o «Scatola da aprire», uno dei nomi in codice. Il «Cubo»
però era un reattore al plutonio, piantato in mezzo al nulla nel deserto
siriano, a poche decine di chilometri da Deir ez-Zour. Erano le 10 e 30
del 5 settembre del 2007 quando i motori di quattro F-16 e quattro
F-15, carichi di 16 tonnellate di bombe di tutti i tipi, cominciarono ad
andare al massimo. L’aviazione israeliana si lanciava in una delle
missioni più delicate della sua storia.
Il governo aveva
battezzato la missione «Fruttero», ma non c’era nulla di idilliaco. I
cacciabombardieri dovevano volare bassi, a 100 metri di altezza, in
territorio siriano, con la strumentazione spenta, in silenzio radio,
senza comunicare tra di loro. Fino all’ultimo i piloti erano stati
tenuti all’oscuro dell’obiettivo. Sapevano però che avrebbero potuto
ritrovarsi nel mezzo di una tremenda battaglia aerea, se Damasco avesse
deciso di reagire. Non sapevano che il governo di Bashar al-Assad, per
evitare imbarazzi, avrebbe invece deciso di far finta di nulla, e negare
persino l’esistenza del reattore. E che la stessa Israele non avrebbe
ammesso l’operazione.
Ieri, invece, il governo israeliano ha
deciso di rivelare tutto. Un «avvertimento» alla Siria e all’Iran, ora
che i venti di guerra soffiano di nuovo forte: «Abbiamo colpito 11 anni
fa, possiamo colpire ancora», è il messaggio. A carte scoperte i piloti
hanno potuto ora raccontare le loro ore più tese e più belle. «Era un
lungo volo, in una notte nera – ha rivelato il colonnello “Amir” ai
media israeliani -. Volavamo in un ambiente ostile. Se il sistema
anti-aereo siriano si fosse risvegliato, ci saremmo ritrovati in un nido
di vipere». Dopo quasi due ore i piloti vedono il «Cubo», una struttura
quadrata, 40 metri per 40, che nasconde il segreto del regime siriano.
Damasco ci lavora dalla fine degli Anni Novanta. Ma gli israeliani
l’hanno scoperto alla fine del 2006, ed è diventato la loro ossessione.
Il
Mossad era stato messo in allarme dall’accordo fra Muammar Gheddafi e
gli Stati Uniti sullo smantellamento del programma nucleare libico, nel
2003. Gli israeliani erano rimasti all’oscuro. Cominciano a guardarsi
attorno. Qualcun altro potrebbe aver avviato un programma simile. È la
Siria. Assad ha attivato i contatti con i nordcoreani attraverso il capo
della Commissione per l’energia atomica siriana, Ibrahim Othman. Nel
marzo del 2007 Othman è a Vienna, a una riunione dell’Aiea. Il Mossad
penetra nel suo appartamento. In pochi minuti «svuota» il suo computer. È
la svolta. Documenti. E fotografie che dimostrano che dentro il Cubo si
cela un reattore atomico a grafite, progettato per produrre plutonio. È
un modello britannico, poi copiato dai nordcoreani e riprodotto a
Yongbyon. Il Cubo è identico.
Il capo dei Servizi, Meir Dagan,
riferisce al premier Ehud Olmert. «Non è più tempo di punti di domanda
ma di punti esclamativi», è la sintesi: «Che facciamo?». Olmert
risponde: «Distruggiamolo». C’è poco tempo per preparare la missione. Il
ministro della Difesa Ehud Bara frena, vuole essere sicuro. Alla fine è
il capo di stato maggiore a convincerlo: «I nostri piloti sono i
migliori al mondo, fidati». Olmert è in contatto con il presidente
americano George W Bush. La Casa Bianca è divisa, il vicepresidente Dick
Cheney vorrebbe che fosse l’America a colpire, per «dare un
avvertimento» ai nemici, cioè l’Iran. Alla fine Bush dà l’ok
all’operazione israeliana.
E’ da poco passata la mezzanotte quando
i piloti vedono il Cubo, grigio, confuso nell’oscurità. «Succede tutto
in pochi secondi – racconta il colonnello “Amir” -. Tremende esplosioni
illuminano la notte. Il sito è coperto di fumo, poi si vede che è
demolito». Uno degli F-16 ha il compito di comunicare il successo alla
base. La parola in codice è Arizona. Sono le 12 e 25. I piloti devono
però tornare e a questo punto le difese siriane sono allertate. Puntano a
Nord, verso la frontiera con la Turchia. La costeggiano a bassissima
quota. Tutto sul filo, ma all’una e 30 gli aerei atterrano alla base.
«Tutti
saltavano su è giù – ricorda ancora il colonnello -. C’era un’euforia
indescrivibile. Quando siamo atterrati ad attenderci c’era il comandante
della base di Hatzerim, Shelly Gutman. Ci ha abbracciati e si è
lasciato andare: “Siete i campioni”». Ora i piloti potranno essere
decorati per la missione. Ma il racconto di quella notte ha un valore
soprattutto politico. Come ha puntualizzato l’attuale capo di stato
maggiore, Gadi Eisenkot, la missione del 2007 è servita a ribadire la
«dottrina Begin», cominciata con la distruzione del reattore di Saddam
Hussein in Iraq nel 1981: «Israele non accetterà la costruzione di
qualcosa in grado di minacciare la sua esistenza». L’Iran è avvertito.