La Stampa 22.3.18
Promozioni in serie nonostante i falsi verbali: così hanno fatto carriera i poliziotti della Diaz
Caldarozzi dai domiciliari ai vertici della Direzione investigativa antimafia
di Matteo Indice
Un
superpoliziotto che dall’Fbi italiano finì ai domiciliari,
nell’interregno ha fatto il consulente del gigante pubblico
Finmneccanica ed è tornato nel gotha dell’investigazione; l’uomo che
fece portare le (false) molotov alla scuola Diaz, divenuto di recente
numero uno del dipartimento che controlla la sicurezza sulle autostrade.
E uno dei più famosi inquirenti degli ultimi vent’anni, andato in
pensione e però rimasto in contatto con l’intelligence.
Quando il
magistrato Enrico Zucca ribadisce che «chi coprì i torturatori del G8 di
Genova è ai vertici della polizia» ha in testa tre nomi. Mentre se
s’incrociano attualità e storia molto contemporanea se ne possono
ripescare altrettanti: personaggi che nel clou dei processi sono stati
promossi a ruoli di primo piano, ricoperti a lungo da condannati.
Proviamo
a fissare qualche paletto. È del settembre scorso la nomina di Gilberto
Caldarozzi a vicario della Dia, la Direzione investigativa antimafia,
di fatto il leader operativo che ha il polso delle inchieste più
delicate. Protagonista della caccia a svariati latitanti, è tecnicamente
un pregiudicato per falso: la Cassazione fissò una pena a 3 anni e 8
mesi poiché aveva firmato in larga compagnia il verbale di perquisizione
in cui si dichiarava che dalla scuola dove dormivano i noglobal, poi
manganellati durante l’irruzione degli agenti, spuntarono due bottiglie
incendiarie. Le stesse che furono esibite la mattina successiva nel
corso d’una conferenza stampa, sebbene gli ordigni fossero stati in
realtà introdotti dagli uomini in divisa. Sempre Caldarozzi, quando il
verdetto divenne definitivo il 5 luglio 2012 (finì brevemente agli
arresti nei mesi successivi) era il capo del Servizio centrale
operativo. Sospeso durante l’interdizione dai pubblici uffici, scaduta
nel luglio 2017, era stato ingaggiato da Finmeccanica nel momento in cui
presidente era Gianni De Gennaro, ovvero il capo della polizia ai tempi
del G8.
A dicembre 2017 risale invece il nuovo incarico di Pietro
Troiani: comandante del centro operativo della Polstrada a Roma, il più
importante d’Italia. Troiani, secondo le carte del caso Diaz, è l’uomo
che nella notte del 22 luglio 2001 ordinò a un assistente di trasportare
nell’istituto le bombe trovate il giorno prima in tutt’altra parte
della città, e custodite su un furgone senza che ne fosse stato
registrato il rinvenimento: ha preso 3 anni. Sull’affaire Caldarozzi -
Troiani il Viminale aveva ribadito che non si trattava di avanzamenti,
ma di posti assegnati in base al grado e alle professionalità dei
funzionari al momento della sospensione.
Figura particolare è
quella di Francesco Gratteri, il più noto fra i condannati per il
verbale fasullo. Fra il 2001 e il 2012 (data della sentenza definitiva)
diviene prima capo dell’Antiterrorismo, poi questore di Bari e, con il
grado di prefetto, coordinatore del Dac, la divisione centrale
anticrimine. È a un certo punto il numero tre della polizia italiana, e
corona con successo indagini cruciali rimanendo in sella nonostante il
verdetto sfavorevole. Va in pensione poco dopo il pronunciamento della
Cassazione e nei mesi scorsi il Ministero dell’Interno aveva preferito
non rispondere su successive collaborazioni con i servizi segreti, per
comprensibili ragioni di riservatezza.
Nell’intervallo fra secondo
e terzo grado avevano ottenuto promozioni altri condannati per le prove
truccate sul blitz: Giovanni Luperi (divenuto capo-analista dei nostri
007 interni e a riposo post-Cassazione), Spartaco Mortola (scelto come
questore vicario a Torino e rientrato nei ranghi, con mansione
differente, terminata l’interdizione dai pubblici uffici), Vincenzo
Canterini, nominato questore già dal 2007, mai sospeso e andato in
quiescenza dopo la dichiarazione di colpevolezza della Suprema Corte.