La Stampa 1.2.18
Gli affari d’oro delle ’ndrine
nell’Est Europa post comunista
I
gruppi criminali hanno approfittato della caduta del Muro Strutture
flessibili, vertici in Calabria e ramificazioni in tutto il mondo
di Federico Varese
«La
’ndrangheta è invisibile, come l’altra faccia della luna», ebbe a dire
un magistrato americano che negli anni Ottanta indagava su una famiglia
criminale calabrese.
Operando per molti anni in un cono d’ombra,
l’organizzazione nata in Calabria nell’Ottocento è oggi presente in
tutti i continenti e, se crediamo ad un rapporto dell’istituto di
ricerca Demoskopica, fattura 53 miliardi di euro l’anno. Gli
investigatori hanno contato circa 400 cosche sparse per il mondo, con
migliaia di affiliati. Quali sono le ragioni di questo successo
planetario, ben superiore di quello della mafia siciliana e della
camorra napoletana?
Le ragioni del successo
La ’ndrangheta
ha una struttura organizzativa flessibile, in grado di coordinare le
famiglie, e allo stesso tempo di assicurare loro ampia autonomia. La
’ndrina («famiglia») di San Luca, un piccolo paese alle falde del
massiccio dell’Aspromonte, è considerata la depositaria della tradizione
dell’organizzazione e ogni gruppo deve ottenere il beneplacito da San
Luca per poter operare. Ma non tutte le decisioni vengono prese a San
Luca: almeno a partire dagli Anni Cinquanta esistono organi di raccordo
territoriali, attivi sia in Calabria che nel resto del mondo. Ad
esempio, la Lombardia è la camera di compensazione dei sedici gruppi che
operano in quella regione italiana. Organi simili esistono per il
Piemonte, la Liguria, il Canada, la Germania e l’Australia. La camorra
non è mai riuscita a creare organi di raccordo, e quindi i conflitti
vengono spesso risolti con il ricorso alle armi. In ogni caso, non
esiste un’entità unitaria o un rito condiviso tra i gruppi criminali che
operano nel Napoletano.
La famiglia di sangue
Una seconda
ragione del successo dei calabresi dipende dal fatto che ogni «famiglia»
criminale coincide con la famiglia di sangue: il boss è anche parente
della maggior parte degli affiliati, a differenza di quanto accade nel
caso di Cosa Nostra. Ne segue che il numero di pentiti di ’ndrangheta è
nettamente inferiore a quello della mafia siciliana, che invece non
recluta sulla base dei legami di sangue. Rivolgersi alle forze
dell’ordine per un mafioso calabrese significa denunciare non solo i
propri complici, ma anche padre, fratelli, suoceri, generi e cugini. Uno
studio pubblicato nel 2011 ha stimato che i pentiti di Cosa nostra
erano circa il 7% dei membri dell’organizzazione, mentre nel caso della
’ndrangheta non andavano oltre il 2.6%.
Con i narcos
La
terza ragione del successo è stata l’abilità di entrare di prepotenza
nel mercato della droga, forgiando solidi rapporti con trafficanti in
Colombia e in Messico. Cosa nostra, che negli Ottanta era al centro del
traffico di eroina proveniente dall’Oriente, ha perso questo vantaggio
storico. La scelta strategica di Toto Riina di imporre la propria
leadership su tutte le famiglie (e quindi di eliminare i rivali) e poi
di lanciare un attacco frontale allo Stato italiano ha reso
l’organizzazione debole e ha prodotto una dura reazione da parte delle
autorità, che sono riuscite ad arrestare la maggior parte dei boss.
Gestire complessi rapporti transnazionali richiede un margine di manovra
che viene meno quando l’organizzazione è impegnata in faide intestine e
in una lotta senza esclusioni di colpi con lo Stato. Al contrario, la
’ndrangheta ha preferito fare affari in sordina, evitando gli omicidi
eccellenti. Va aggiunto che il porto di Gioia Tauro permette l’attracco
dei grandi containers proveniente dall’America del Sud, mentre quello di
Palermo non è così moderno. Il boss calabrese Piromalli, che volle quel
porto, ebbe un’intuizione fondamentale per l’organizzazione.
Il crollo del muro
Infine,
esponenti della ’ndrangheta sono stati tra i primi a capire le
opportunità offerte dal crollo del muro di Berlino. Sin dagli Anni
Novanta hanno investito e riciclato denaro in Est Europa. Non stupisce
che oggi siano presenti nei Paesi dell’ex Jugoslavia.
In questo
secolo vi sono state importanti indagini condotte dalle procure di
Reggio Calabria, Catanzaro, Milano e Torino, che hanno ricostruito
traffici internazionali e ramificazioni nel Nord d’Italia.
L’organizzazione non è più invisibile. Eppure ogni soluzione di lungo
periodo deve essere politica e sociale: lo Stato italiano deve
recuperare un’autorità oggi perduta sul territorio di quella regione per
sconfiggere le ramificazioni internazionali di questa mafia di
successo.