lunedì 19 marzo 2018

La Stampa 19.3.18
C’era una volta la democrazia rappresentativa
di Luigi La Spina


Le elezioni italiane del 4 marzo hanno segnato una vera rivoluzione nel nostro sistema dei partiti. Se, però, le inquadriamo in quelle che sembrano le tendenze politiche che si stanno affermando nel mondo, dalla Cina alla Russia fino all’America di Trump, si possono considerare anche la conferma di una crisi di quel modello di governo degli uomini che, almeno in Occidente, si è andato affermando soprattutto nel secolo scorso: la democrazia rappresentativa. Tale modello ha cercato, con molte difficoltà e persino attraverso due guerre mondiali, di coniugare i due più importanti valori della cultura politica, la libertà e l’uguaglianza.
A questo proposito, è molto interessante e fortunatamente tempestiva la pubblicazione di un libro di Franco Sbarberi, Pensatori e culture politiche del Novecento italiano e dintorni (ed. Helicon), che analizza le origini e gli sviluppi del filone di pensiero che ha costituito il fondamento di questo sistema politico, proprio perché induce a riflessioni di inquietante attualità sul nostro futuro.
L’autore, allievo di Norberto Bobbio, cita proprio alcuni passi di lezioni universitarie del filosofo torinese che, quasi profeticamente, annunciavano, già nei decenni finali del secolo scorso, quelle tendenze politiche che la moda corrente oggi chiama «populistiche», ma che, invece, lui preferisce definire, certamente con maggior capacità euristica, «forme dispotiche post totalitarie» di controllo dell’opinione pubblica e di «concentrazione e confusione di poteri pubblici e privati».
Di fronte a questo preoccupante scenario, Sbarberi non possiede, naturalmente, ricette salvifiche, ma non si arrende a quella che chiama «la pericolosa prospettiva di un governo unico del mondo». Perché «riconoscere senza ipocrisie la presenza plurale e talvolta discorde di identità, affiliazioni, credenze di ogni individuo contemporaneo e ragionevolmente conviverci è il servizio migliore che possiamo rendere a quei valori fondativi di libertà e di uguaglianza che sono costitutivamente fragili, ma sempre imprescindibili».