La Stampa 18.3.18
Il Pd si ribella all’Aventino di Renzi e apre a un esecutivo di garanzia
Assemblea
al Nazareno con Martina, Cuperlo, Orlando e Calenda “Se ci fosse un
appello del Quirinale, non potremmo tirarci indietro”
di Alessandro Di Matteo
La
mezza tregua firmata in direzione Pd lunedì scorso sembra già saltata,
lo scenario che Matteo Renzi temeva comincia a concretizzarsi e la
riunione di ieri, organizzata da Gianni Cuperlo, ha messo in allarme il
segretario dimissionario. Nella sala conferenze della sede Pd si sono
ritrovati i rappresentanti di aree diverse del partito, un embrione di
«correntone» che mette insieme pezzi di minoranza come Cuperlo e Andrea
Orlando, esponenti che fino all’altro ieri erano schierati con Renzi,
come il reggente Maurizio Martina, e anche new entry come il
neo-iscritto Carlo Calenda, ministro che da mesi non perde occasione per
polemizzare con l’ex premier. Seduto ad ascoltare, poi, c’era anche il
franceschiniano Luigi Zanda. Sensibilità e storie diverse, ma unite da
un obiettivo comune: impedire a Renzi di confinare il Partito
democratico sull’Aventino mentre il Presidente Sergio Mattarella cerca
di mettere su un governo.
La polemica è scoppiata sui giudizi
espressi da Cuperlo sul «renzismo da superare» e sulle battute di
Orlando a proposito degli «episodi di nepotismo e clientelismo» nel Pd,
ma è l’apertura a un governo del presidente a mettere in allarme l’ex
leader. Per carità, da Cuperlo a Martina tutti hanno precisato che
accordi politici con il Movimento 5 Stelle e Lega non sono praticabili.
Peccato che poi hanno aggiunto che se il Capo dello Stato dovesse
prendere l’iniziativa per un «governo del presidente» o «di scopo» il Pd
non potrà stare a guardare. «Non vedo le condizioni per un accordo con
chi dice di aver vinto - ha detto Cuperlo - ma se dopo tentativi a vuoto
(di formare un governo, ndr) ci fosse l’appello a un governo condiviso,
io dico che non dovremmo scegliere l’Aventino».
Concorda Orlando,
che invita anche a «distinguere il livello istituzionale da quello di
governo», per dire che sulle presidenze delle Camere il Pd deve essere
della partita. E sulla stessa linea sono anche Calenda e, soprattutto,
il “reggente” Martina: «Anche io penso che un governo 5 Stelle-Lega sia
pericoloso per questo Paese. Noi non ci tireremo indietro dal confronto e
non aspetteremo che siano le forze che hanno vinto a fare le loro
mosse».
Il no ad accordi politici con M5S e Lega è scontato, anche
in Europa, nel Pse, la prospettiva non è vista bene e non a caso Gianni
Pittella, presidente del gruppo dei Socialisti e democratici, è netto:
«L’esito delle urne è chiarissimo, ancorché doloroso: affida a due forze
l’onere e l’onore di governare, tanti auguri. Noi faremo opposizione
costruttiva». In realtà, anche nel Pse c’è una minoranza che spinge per
un dialogo con il M5S: sono soprattutto gli italiani di Leu e alcuni ex
esponenti del partito socialista francese. Ma, appunto, si tratta di una
minoranza.
Altro discorso è il «governo del presidente», proprio
quello evocato ieri da Cuperlo e Martina, che aprirebbe la strada anche a
una vera rivoluzione nel partito, di fatto la marginalizzazione di
Renzi. E il fatto che il reggente Martina abbia appoggiato questa linea
ha fatto scattare l’allarme.
Non è un caso che ieri la reazione di
molti renziani sia stata dura. Michele Anzaldi, poi seguito da Franco
Vazio e Luciano Nobili, ha attaccato: «Tutta colpa del “renzismo”? E chi
era al fianco di Renzi al partito e al governo che faceva in questi
anni?». Orlando ha poi chiarito che parlando di «nepotismo e
clientelismo non mi riferivo a Renzi», Cuperlo ha chiesto di «sotterrare
l’ascia di guerra». Ma è chiaro che la tregua interna è rotta, i giochi
in vista delle trattative per il governo si sono ufficialmente aperti, e
dalla minoranza qualcuno fa notare che «non tutti i renziani ieri hanno
attaccato».