Corriere 18.3.18
«La sinistra ritrovi se stessa torni dove c’è il popolo»
di Aldo Cazzullo
«Questa
sconfitta non nasce per caso. Non è un accidente. La sinistra non ha
colto la trasformazione della società — dice Walter Veltroni al Corriere
—. Ha perso quel che la sinistra non può perdere: il rapporto con il
popolo». E sull’attuale momento politico auspica che «il Pd dialoghi con
i Cinque Stelle con la regia del capo dello Stato».
Veltroni, la sinistra italiana è al minimo storico.
«È
abbastanza incredibile la rapidità con cui si è passati sopra la più
grande sconfitta della sinistra nella storia del dopoguerra, per
ricominciare la consueta danza degli hashtag e dei tweet, per dibattere
su cosa fare domani mattina; che è sicuramente un problema, ma prima
ancora occorre capire perché siamo al bipolarismo tra 5 Stelle e Lega, e
il Pd ha perso metà dei 12 milioni di voti che prese nel 2008».
Che fare?
«Sottrarci
al presentismo assoluto che domina ormai ogni segmento del nostro
discorso pubblico. Gramsci definiva il partito come intellettuale
collettivo. Pare un ossimoro: l’intellettuale è pensato come un
individuo solo con le sue speculazioni. Per me significa la meraviglia
del capire insieme. Insieme si capisce molto di più che da soli».
Lei cos’ha capito?
«Questa
sconfitta non nasce per caso. Non è un accidente. La sinistra non ha
colto la trasformazione della società. È stata forte quando la società
era strutturata, organizzata per classi, con forti elementi unificanti.
Nella società liquida la sinistra si è persa. Ha perso la sua capacità
di essere se stessa, di rappresentare dentro il tempo della precarietà e
della coriandolizzazione dell’esperienza umana il proprio punto di
vista. Ha perso quel che la sinistra non può perdere: il rapporto con il
popolo. Senza il popolo non esiste la sinistra».
Il Pd ha vinto nei centri storici ed è stato travolto in periferia.
«Invece
dovrebbe stare dove c’è più disagio, più povertà, più disperazione, più
angoscia. La vera questione oggi è questa: come si interpreta il punto
di vista della sinistra, che è sempre esistito? La sinistra non è nata
con i parlamenti; è nata con la rivolta degli schiavi. C’è sempre stato
nella storia umana un sentimento, un punto di vista della sinistra:
sempre dalla parte dei più deboli, nei suoi momenti migliori
armonizzando libertà e giustizia sociale, nei momenti peggiori
separandoli. Oggi il sentimento della sinistra deve rispondere alla
grande inquietudine del nostro tempo, alla sensazione di solitudine
dell’esistenza. Mi ha colpito che in campagna elettorale il Pd sia stato
impegnato a dire quanto era stato bravo nei mille giorni di governo;
sideralmente lontano dallo stato d’animo di un Paese uscito da questi
anni di crisi profondamente stordito».
Stordito?
«Il 40%
delle famiglie è composto da una sola persona. Il 23% vive con meno di
830 euro almese; tra gli under 45 la percentuale sale al 30, al Sud al
40. Il reddito medio delle famiglie italiane è 11 punti sotto l’inizio
della crisi. Si aggiunga il mutamento della condizione di vita degli
esseri umani, segnato dalla precarizzazione di ogni aspetto
dell’esistenza: il lavoro, le relazioni tra le persone, il tempo
successivo al lavoro; tutto è dominato dalla precarietà e dalla paura».
Il Pd rivendica che l’Italia si sia rimessa in moto.
«Vero.
Ma la preoccupazione per il futuro dei figli è fortissima. Ricordo una
trasmissione degli anni 60: Enzo Biagi intervistava un contadino con la
camicia a scacchi che parlava dialetto. Dietro c’era il figlio, tutto
elegante, con gli occhiali alla Gino Paoli. Il padre diceva: gli ho
fatto prendere la licenza superiore. C’era in quella frase il senso di
una vita: io mi sono spaccato la schiena nei campi, ma mio figlio starà
meglio di me. La rottura di questa certezza è qualcosa che cambia
l’esistenza umana».
Non accade solo in Italia.
«Infatti la
sinistra è sconfitta in tutto l’Occidente. Ora deve trovare le politiche
che consentano di dare nuova stabilità e nuove garanzie, per far sì che
la vita non sia una giungla: se un ragazzo sta in un call center e
guadagna 33 centesimi all’ora è roba da schiavismo. E la sinistra deve
immaginare forme di democrazia più robuste di quelle che abbiamo
conosciuto. L’errore drammatico è stato togliere alla nostra comunità le
emozioni e la memoria».
Cosa c’entrano le emozioni?
«Le
emozioni sono molto importanti in politica, e sono il principale
antidoto alla paura. Senza l’idea di partecipare a qualcosa di grande,
la politica si riduce a pura macchina di potere, fredda e repellente».
E la memoria?
«Togliendo
la memoria, la sinistra ha tolto alla sua comunità il desiderio di
futuro. Ma non possiamo vivere al ritmo concitato di tweet che si
contraddicono, senza la consapevolezza che la storia non comincia con
te; comincia con Spartaco, ed è una storia fatta di sangue, di
generosità, di sacrifici, di libertà negate, di persone che ci hanno
rimesso la vita. Noi siamo il prodotto di tutto questo, delle
contraddizioni e delle tragedie. La nostra forza, diversamente da “Noi
con l’Italia” o consimili, è essere un elemento permanente della
storia».
A dire il vero sembrate sull’orlo di sparire.
«L’altro
giorno per gioco ho chiesto a Siri, voce del cellulare: tu sei di
destra o di sinistra? Mi ha risposto: “Francamente me ne infischio”».
Lei pensa invece che destra e sinistra esistano ancora?
«La
sinistra non può non esserci. La storia ha bisogno che ci sia qualcuno
dalla parte degli ultimi e dei diritti: il mondo è andato avanti grazie a
questo. Lo dimostra in queste ore il sacrificio di Marielle Franco in
Brasile. E lo dimostrano, per converso, i dazi e i muri».
Concretamente cosa dovreste fare?
«Ho
visto quei circoli Pd chiusi in un tristissimo e bel servizio di
«Piazzapulita»; si riaprissero subito, per convocare migliaia di persone
a discutere. Ricordo quando Berlinguer propose il compromesso storico:
milioni di persone si trovarono in luoghi fisici per parlarsi; il
calore, lo scambio meraviglioso, l’incontro di punti di vista diversi. A
me piacerebbe che il Pd ora avesse l’ambizione di capire, più che di
dire».
Cos’è cambiato rispetto al 2008?
«Il Pd è stato il Pd
per un breve periodo. Poi è somigliato troppo ai Ds, quindi troppo alla
Margherita. Il Pd ha bisogno di apparire ciò che è: una forza della
sinistra con ambizioni maggioritarie. Ha bisogno di partecipare al
dolore delle persone, di un sogno, di un’idea della democrazia oltre la
disintermediazione».
Il Pd non è finito secondo lei?
«No. Al
contrario: è l’unica soluzione possibile. Non possiamo rimettere in
discussione un’idea che abbiamo impiegato dieci anni di troppo a fare,
ma abbiamo fatto dieci anni prima degli altri. Sarebbe un errore
gigantesco. L’esito di Leu dimostra che la soluzione non è tornare al
passato; è fare il Pd come l’abbiamo immaginato, portandolo al 34%».
Con Berlusconi sopra il 38. Quelle elezioni le avete perse, non vinte.
«Nessuno
poteva seriamente pensare di vincerle. Fu un miracolo: partivamo dal
22%. Lo disse Gentiloni: non confondiamo il sogno dell’Ulivo con
l’incubo dell’Unione; e noi venivamo dall’incubo dell’Unione.
Bisognerebbe recuperarla, quell’idea che poi fu giustiziata dal potere
interno».
Cosa pensa di Renzi?
«A Renzi non riserverò
nessuna delle parole che furono riservate da Renzi alle persone che in
altri momenti avevano avuto responsabilità di guida della sinistra.
Rispetto il suo lavoro, lo rispetto come persona. Il problema non è lui;
è molto più serio, più profondo, più sconvolgente. La sinistra ha perso
tutte le elezioni dal 2014. È come il conte Ugolino, ha divorato i suoi
figli uno dopo l’altro; e ciascuno che arrivava pensava che tutto
cominciasse con lui. È il momento di ricostruire una comunità che si è
perduta, fatta anche dalla pluralità dei punti di vista e dal confronto
con chi la pensa diversamente».
Il Pd deve stare all’opposizione?
«All’opposizione sì. Ma deve esserci un governo. È giusto che a fare proposte siano altri, chi ha avuto un successo elettorale».
Una maggioranza Lega-5 Stelle?
«Non
la auspico, non ho mai condiviso la logica del tanto peggio tanto
meglio. Il Pd sia un interlocutore non degli altri partiti, ma del
presidente della Repubblica. Sarebbe sbagliato, per evitare le elezioni,
rispondere di sì a chiunque chieda al Pd, dopo averlo insultato, di
sostenere il proprio governo. Ma può darsi si creino le condizioni,
attorno a un’iniziativa del presidente, per dare al Paese un governo che
eviti il ricorso alle urne e affronti la legge elettorale e la
questione sociale».
Dialogo con i 5 Stelle?
«Dipende se i 5
Stelle insistono nel pretendere l’appoggio al governo scritto prima del
voto, oppure concordano che non è tempo d’imposizioni. Se a fine crisi,
sotto la regia del capo dello Stato, emergesse un’ipotesi a certe
condizioni programmatiche — adesione chiara all’Europa, politiche
sociali, ius soli, qualità e indipendenza dell’esecutivo —, il Pd
farebbe bene a discuterne».
Meglio i 5 Stelle della Lega?
«Una
parte del nostro elettorato è finita ai 5 Stelle; una piccola nella
Lega, il resto, tanto, nell’astensione. Il Pd fa bene per ora a stare
dov’è. All’opposizione».
Ogni tanto si evoca il suo ritorno. Potrebbe essere lei il nuovo leader?
«Vale
quello che ci siamo sempre detti: ho fatto una scelta di vita diversa.
Quel Pd fu impedito da gran parte dei maggiorenti del partito: un errore
di cui paghiamo ancora il prezzo. La mia passione politica si può
esercitare senza potere; e io avrò passione politica fino a quando avrò
gli occhi aperti. È sbagliata l’idea che la passione politica e il
potere siano la stessa cosa. Milioni di italiani hanno cambiato questo
Paese senza essere consiglieri regionali».