Repubblica 18.3.18
Il reportage
Torino. Nel circolo di Borgo San Paolo
I dem dell’ex quartiere rosso torinese “C’è voglia di superare la scissione”
di Paolo Griseri
TORINO Niente foto alle pareti. Di questi tempi passano di moda troppo in fretta.
Solo la bandiera del Pd.
Ma
quel che più conta per l’identità è l’indirizzo: «Ci siamo trasferiti
qui, in questo negozio, perché è in via Di Nanni e ci tenevamo», dice
Francesca, ex segretaria del circolo di Borgo San Paolo, già quartiere
rosso di Torino. Già. Dante di Nanni, classe 1925, partigiano gappista,
trucidato a 19 anni dopo due ore di resistenza ai fascisti, abbarbicato
nel suo alloggio al primo piano di via San Bernardino, a due passi dal
circolo. Giovanni Pesce, compagno di azioni, racconta che Dante, finite
le munizioni, «si gettò dal balcone con il pugno chiuso». Gli storici
accerteranno che venne trucidato in cantina.
Comunque un eroe, un
pezzo dell’identità antifascista del quartiere di Giancarlo Pajetta,
Diego Novelli, Piero Fassino. Oggi a rappresentare borgo San Paolo alla
Camera c’è una deputata di Fratelli d’Italia, nella sua biografia una
gioventù universitaria trascorsa nel Fuan. Se fosse vissuta nel 1944
l’avremmo probabilmente trovata sotto il balcone di via San Bernardino
ad assediare il partigiano del primo piano.
Ecco, com’è stato possibile?
Questo,
in fondo, è l’oggetto della riflessione del dopo voto. I numeri danno
la risposta: la candidata del Pd ha perso per 150 voti, il candidato di
Leu ne ha presi 6.758. Ma sarebbero bastati, per sconfiggere la deputata
postfascista, anche un decimo dei 1.975 voti di Potere al Popolo. Siete
arrabbiati con Leu? Gianmarco, giovane segretario del circolo,
risponde, sorprendentemente, di no: «Ho sperato fino all’ultimo che la
scissione non si facesse. E anche la notte delle elezioni, mentre giravo
tra i seggi, incontravo quelli di Leu e ci dicevamo, soprattutto con
quei risultati, che avremmo dovuto tornare insieme».
La divisione non è stata semplice.
Ma in fondo, a livello di quartiere, nemmeno tanto consumata.
Laura parla subito. Non può aspettare la fine della riunione: «Scusate se parlo adesso. Vado all’Eliseo a vedere ‘Lady Bird’.
Sapete,
ho una figlia grande». Che cosa dice Laura, l’unica nella sala ad aver
conosciuto il Pci? Parla con il cuore in mano: «Non si può pensare di
litigare con persone con cui hai condiviso tutto per quarant’anni. Mi ha
fatto un grande effetto. Una mattina al mercato mi sono trovata a
volantinare fianco a fianco con un amico. Per la prima volta
distribuivamo volantini per partiti diversi. Come avrei potuto
litigarci?». È possibile tornare insieme? Alberto, presidente del
quartiere, è un orlandiano possibilista: «Abbiamo già visto ritorni nel
partito. Dobbiamo unirci già per l’anno prossimo alle regionali che
devono decidere il successore di Chiamparino». E sulle differenze di
programma si può ricucire «perché in fondo il Jobs Act e la Fornero l’ha
votati anche Leu».
Non c’è insomma un clima depresso in via Di
Nanni, nonostante la sconfitta elettorale e la pioggia che gocciola sui
banchi del mercato del sabato pomeriggio e sulle borse della spesa.
Tocca a Maria Antonietta, dirigente di banca in pensione, spiegare
perché: «Da quando abbiamo perso, due settimane fa, sono arrivati in
tanti ad iscriversi.
Persone di tutte le età, anche giovani».
Forse tornano nel partito perché Renzi non è più segretario..Pensiero
maligno ma non del tutto infondato, almeno a sentire quel che racconta
Laura: «Sono venuti alcuni a dirci che si iscrivevano perché pensavano
che adesso, dopo la sconfitta, c’era più possibilità di discutere».
In pochi giorni i nuovi iscritti sono una trentina, un bel numero.
«Anche
io mi sono iscritto dopo una sconfitta, quel del referendum del 4
dicembre. L’ho fatto perché pensavo che si dovesse dare una mano per
riforme in cui io credevo», racconta Marco.
Ma il motivo delle 30
nuove iscrizioni dal 4 marzo ad oggi lo spiega ancora Maria Antonietta:
«Vengono perché vogliono parlare di politica guardandosi in faccia,
confrontandosi bevendo una birra. Vengono perché sono stufi della
politica dello sfogo sui social, vengono perché ci dicono che non hanno
più voglia di delegare. Ecco perché vengono».
Il fascino del
perdente? Forse. Ma anche la speranza, dicono sottovoce, che con il
rimescolamento seguito alla sconfitta, tornino a contare nel partito le
idee e non solo i pacchetti di tessere, inevitabilmente decisivi quando
gli iscritti sono pochi. «La nostra scommessa - dice Gianmarco - è di
riuscire a trasformare i titolari delle tessere in militanti. Abbiamo
bisogno di persone con cui confrontarci». «Così - promette Francesca -
riusciremo a riconquistare il quartiere di Dante Di Nanni».