sabato 17 marzo 2018

La Stampa 17.3.18
L’ex Pci Cervetti, il voto  e quel paragone col 1924
di Chiara Beria Di Argentine


Mosca, 8 marzo 1958. Ricorda Gianni Cervetti: «Alla sede comunale del nostro quartiere c’erano 3 stanze: gli uffici nascite, matrimoni e morti. Con Franchina abbiamo prima registrato nostro figlio Andrea di un mese, ci siamo sposati e siamo subito tornati a studiare. Lei, figlia di un operaio dell’Alfa era a Mosca dal 1955; anch’io milanese ma d’origini piemontesi (i miei erano del Monferrato; papà, colono parziario del marchese Faà di Bruno, per la crisi del 1929 aprì a Milano una osteria) a 16 anni mi ero iscritto al Pci e venni mandato dal partito a Mosca nel 1956. XX congresso del Pcus, tempo delle aperture di Krusciov, disgelo, destalinizzazione. Alla Casa dello Studente c’erano amici cinesi e anche già alcuni americani. Per 6 mesi dovevamo seguire lezioni intensive di russo; m’iscrissi a economia. Anche Franchina studiava: Andrea venne depositato alla Casa del bambino. Siamo rimasti in Urss per 5 anni e mezzo. Rapporti con le nostre famiglie? Solo epistolari».
Milano, 8 marzo 2018. Subito dopo le elezioni che hanno segnato la più netta sconfitta della sinistra dal 1948, nel giorno del 60° anniversario di matrimonio Gianni Cervetti, il «Compagno del secolo scorso» (così s’intitola l’autobiografia, pubblicata da Bompiani) ha regalato fiori e un anello alla sua sempre amata Franchina Canuti. Sobrietà, zero feste. L’uomo che è stato il più autorevole esponente del Pci in Lombardia, il dirigente «migliorista» che dell’Urss ben conosceva uomini e un sistema irriformabile, che ai tempi di Berlinguer era membro della segreteria nazionale e responsabile dell’organizzazione, al Parlamento europeo guidò il gruppo comunista con vice Altiero Spinelli ed è stato indagato per Mani Pulite e assolto dopo 5 anni non è tipo da negare colpe e sconfitte del suo mondo («Una comunità dissolta malamente», scrive Paolo Franchi nella prefazione del libro) ma neanche tipo da rassegnarsi.
A 84 anni portati assai bene («Mai fatto sport. Sempre tifato Juve») Cervetti che presiede l’Istituto per la storia dell’età contemporanea (archivi di grandi fabbriche come Breda e Falck ormai scomparse), la Fondazione Corrente e la Fondazione orchestra e coro Giuseppe Verdi, ha idee nette: «Non c’è stata la capacità di rispondere in maniera seria al desiderio di cambiamento. Renzi pur combattendo D’Alema ne ha assorbito alcune caratteristiche: “Faccio io, Sono io”. Nel Pci a far da contrappeso al segretario generale c’era una direzione formata da personalità d’alto livello che non le mandava certo a dire!».
Tessera del Pd ma voto all’amico Bruno Tabacci della lista +Europa, Cervetti è ben più preoccupato che della sorte personale di questo o quello: «Paragono le elezioni 2018 a quelle del 1924 che videro la vittoria dell’alleanza nazionale dei fascisti e nazionalisti. Se sovrapponiamo le due cartine elettorali le somiglianze sono impressionanti: la destra si prese tutto il Sud, il Pci era una piccola forza, il Psi frantumato tenne solo a Milano. Oggi? I 5 Stelle sono una destra particolare; quanto a Salvini se ci fosse un liberale come Malagodi la contrapposizione sarebbe netta. Per fortuna, abbiamo 2 punti di tenuta: veniamo da 70 anni di processi democratici e c’è l’Europa».
Capitolo Putin. Il compagno che su mandato di Berlinguer trattò con Boris Ponomariov la fine dei finanziamenti sovietici («Con la crescita elettorale e 1 milione e 800 mila iscritti potevamo permettercelo; nel 1979 il Pci oltre agli immobili aveva quasi 10 miliardi liquidi») sull’affaire spie dice che «come sempre ci sono di ogni parte e molto più di quello che appare» ma non crede a elezioni taroccate dal Kgb: «Ammesso che ci sia stato qualcosa Trump ha vinto nettamente. E’ l’ondata populista che arriva fino in Polonia». Quanto alle sanzioni: «Sono un grave errore anche tecnico. Chi è sanzionato tende a chiudersi mentre va favorito il dialogo». Anche tra Putin e Salvini? Cervetti sbotta: «E’ sbagliato, persino tremendo. Un conto aprirsi altro è inserirsi in vicende che non li riguardano. Mosca deve guardare all’Italia, all’Europa non alle singole parti».