giovedì 15 marzo 2018

La Stampa 15.3.18
La mente brillante che ha sconfitto il fato e la materia
È vissuto 55 anni con una malattia senza speranza
Rabbioso, ironico, ci ha messo in guardia dai robot
di Vittorio Sabadin


Stephen Hawking è morto a 76 anni nella sua casa di Cambridge, seduto sulla sedia a rotelle, il capo reclinato da un lato, le mani incrociate appoggiate alle gambe magre, come l’abbiamo sempre visto e come lo ricorderemo. Aveva trovato alcune risposte alle domande che gli esseri umani da sempre si pongono: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Ma la cosa più importante che ci ha insegnato è che la vita è comunque degna di essere vissuta, e che un senso all’esistenza lo si può trovare anche se costretti per 55 anni a non muovere un solo muscolo. Non riusciva ad alzare un dito, ma la sua mente ha sconfitto la materia, continuando a vagare curiosa per l’Universo.
Hawking era nato a Oxford l’8 gennaio del 1942, esattamente tre secoli dopo la morte di Galileo. A 9 anni era l’ultimo della classe, passava il tempo a smontare orologi e radio per scoprire come funzionavano. Evitava le fatiche inutili (nella squadra di canottaggio era il timoniere) e anche le perdite di tempo: a Oxford sbrigò in tre anni la pratica della laurea e passò poi a Cambridge, dove nonostante la sua infermità avrebbe in breve conquistato la cattedra che era stata occupata da Isaac Newton.
Il primo sintomo, a 17 anni, era stato un dolore a una mano, poi all’altra: sempre più intensi, sempre più pungenti. I medici avevano diagnosticato una sclerosi laterale amiotrofica, che lascia pochi anni di vita. Si sbagliavano: era atrofia muscolare progressiva, grave e crudele allo stesso modo, solo più lenta. A 21 anni aveva interrotto una conferenza del grande cosmologo e accademico Fred Hoyle, per dirgli che si sbagliava. Tremava tutto e i suoi amici pensarono che fosse per l’emozione di quello che aveva osato fare. Ma invece non controllava più i muscoli, rovesciava il tè, parlava con difficoltà. È sorprendente quanto, nonostante tutto, sia stata normale la sua vita: nel 1965 sposò la sua fidanzata di Cambridge, Jane Wilde, dalla quale ebbe tre figli, Lucy, Robert e Tim. Divorziarono nel 1991 e Hawking sposò poi Elaine Mason, una delle sue infermiere, dalla quale divorziò nel 2007. Jane gli aveva salvato la vita nel 1985, durante una visita al Cern di Ginevra: colpito da una polmonite, era così grave che i medici gli praticarono una tracheotomia, recidendo le corde vocali. Volevano staccare gli apparecchi che lo tenevano in vita, ma la moglie si era opposta e lo aveva riportato a casa, moribondo e senza più voce.
Hawking si arrabbiava quando qualcuno voleva aiutarlo a fare qualcosa che lui poteva fare ancora da solo, fosse anche un minimo movimento. Parlava con l’aiuto di un sintetizzatore vocale dall’accento americano, poi con un dispositivo che legge le onde elettriche cerebrali. Ma apprezzava lo stesso la vita, era felice, amava i bambini e li faceva ridere con le evoluzioni della sua carrozzina. Come tutte le persone che raggiungono il vertice nella loro professione era a volte anche arrogante e non trattava bene gli studenti. Passò con le ruote sui piedi di uno che non aveva capito le brevi sentenze che lui poteva pronunciare, come un oracolo la cui parola non si discute. Non credeva in Dio. La creazione non c’è mai stata – diceva -, la religione è basata sull’autorità, la scienza su osservazione e ragionamento. Nel conflitto, la scienza alla fine vincerà.
Era l’astrofisico più celebre al mondo, e gli piaceva. Si è fatto portare al polo Sud, ha viaggiato nello spazio, è stato in fondo al mare e nel pozzo di una miniera. Nei suoi libri ha usato senso dell’umorismo e parole semplici per spiegare concetti complessi: se vi avvicinate a un buco nero, diventerete come un lungo spaghetto prima di scomparire nel nulla. Negli ultimi anni ha lanciato allarmi che dovremmo ascoltare: non cercate di incontrare gli alieni e di chiedere loro aiuto, farebbero come Colombo ha fatto con gli indios; attenti all’intelligenza artificiale, perché causerà l’estinzione dell’umanità; cercate un pianeta dove andare a vivere, avete già distrutto la Terra e non durerà altri due secoli.
Non gli hanno mai conferito il premio Nobel e ora diranno che forse non era uno scienziato così grande. Ma un grande uomo lo è stato, anche solo per avere dimostrato quello in cui credeva: per quanto difficile diventi la vita, c’è sempre qualcosa che si può fare con successo.