giovedì 15 marzo 2018

La Stampa 15.3.18
Quel pensiero visionario in un corpo fragilissimo
di Roberto Battiston


Stephen Hawking è stato senza dubbio un caso unico nel mondo della fisica teorica, grande scienziato ma anche icona inconfondibile, paradosso vivente in cui un corpo fragilissimo ospitava una mente profonda e un pensiero visionario. Lo incontrai al Cern nel 2009, in occasione della sua visita al nostro esperimento Ams (Alpha Magnetic Spectrometer), il cacciatore di antimateria e materia oscura nei raggi cosmici, che dal 2012 è attivo sulla Stazione Spaziale Internazionale. Un uomo fisicamente al limite della sopravvivenza che si spostava da un continente all’altro, per vedere, studiare e capire. Ma la sua fragilità era pari alla sua curiosità e - possiamo dire - all’esuberanza che caratterizzava la sua teorizzazione scientifica. Se al Cern il nostro dialogo fu lento a causa delle protesi tecnologiche che lo aiutavano a parlare, le sue domande sull’esperimento, su come era fatto, sulle prospettive scientifiche, furono precise e incalzanti, se così possiamo definire un colloquio che avveniva con tempi marziani, con venti minuti che passavano tra ogni domanda e ogni risposta. Passammo più di un’ora ad alta tensione in una discussione surreale, ma scientificamente interessantissima. Uno degli obiettivi del lavoro di Hawking è stato la ricerca della Teoria del Tutto, in grado di realizzare il sogno di una compattazione del sapere in una limitata serie di equazioni collegate tra di loro da armoniche leggi di simmetria. Nella sua curiosità affrontò alcuni dei problemi più difficili della fisica contemporanea, con una comprensibile passione per i buchi neri e per i paradossi ad essi collegati. Problemi che lo hanno portato a sviluppare più volte le sue teorie, talvolta tornando sui suoi passi, ma lasciando la porta aperta a nuovi colpi di teatro. La sua analisi dell’ entropia dei buchi neri è magistrale. Partendo dall’intuizione - oggi data per scontata - che un buco nero può solo aumentare le sue dimensioni e non diminuirle risucchiando tutto ciò che gli passa vicino, luce inclusa, Hawking comprese che la massa di un buco nero definisce le dimensioni dello spazio che circonda la singolarità centrale e che, se si vuole rispettare il secondo principio della termodinamica, il quale afferma che il disordine può solo aumentare, i buchi neri sono obbligati ad emettere una radiazione, che ha preso il suo nome e che li fa lentamente evaporare e sparire. Fu proprio lo studio della meccanica quantistica collegata alla gravità una delle feconde intuizioni di Hawking che gli permise di studiare questa radiazione in grado di sfuggire al corpo nero. Secondo la teoria quantistica, infatti, lo spazio vuoto è riempito di coppie di particelle di materia e particelle di antimateria o antiparticelle che si creano e si annichilano spontaneamente, senza sosta. Siccome si tratta di particelle con cariche opposte che non creano un campo elettrico osservabile: esse si creano e scompaiono così rapidamente che non si possono rilevare in modo diretto e sono per questo chiamate particelle virtuali. Per Hawking queste particelle possono diventare reali se si creano vicino all’ orizzonte degli eventi di un buco nero, in modo che una delle due sia risucchiata dal buco nero, essendo quindi portatrice di energia negativa e facendone diminuire la massa mentre la sua gemella di carica opposta e con energia positiva sopravvive ed entra a far parte dell’Universo. Grazie a questo fenomeno Hawking confutava l’idea consolidata di partenza, secondo la quale i buchi neri sono in espansione continua, prevedendo l’esistenza di una radiazione in grado di fare evaporare il buco nero.
Grazie ad una serie di teoremi dovuti ad Hawking, il fisico israeliano Jacob Bekenstein riuscì a dimostrare che l’entropia di un buco nero è proporzionale all’area della sua superfice divisa per la lunghezza di Planck al quadrato, una formula bellissima che collega la relatività generale alla meccanica quantistica e che solo decenni dopo fu derivata con tecniche di meccanica statistica. Si tratta di una delle prime volte che due teorie così lontane e ancora oggi inconciliabili, la relatività generale, che descrive fenomeni su scala cosmica e la meccanica quantistica che descrive fenomeni nell’infinitamente piccolo, a livello subatomico e di particelle elementari, sono collegate in modo così profondo all’ interno della stessa formula.
Fra molte altre scoperte, Hawking intuì inoltre che un buco nero non può frantumarsi, neppure a causa di una collisione violentissima con un altro buco nero, ma che i due buchi neri si fondono emettendo onde gravitazionali, fenomeno che dal 2015 siamo in grado di osservare grazie ai sensibilissimi interferometri laser posti in Italia e negli Usa. La sua forza, la sua intelligenza ed il suo coraggio sono stati uno stimolo per tutti noi. In un certo senso nell’uomo Hawking venivano amplificati due aspetti caratteristici della nostra specie: da una parte la sua fragilità all’interno dell’immensità che ci circonda, dall’altra la sua grandezza intellettuale che gli ha permesso di esplorare e capire, tramite l’intelligenza e gli strumenti della tecnologia, l’universo fino alle sue origini.