La Stampa 15.3.18
Le grandi manovre degli imperi
Ecco come Mosca e Pechino sfidano le democrazie in difficoltà
L’autoritarismo
illuminato di Xi Jinping e quello ottuso di Putin incalzano l’Occidente
alle prese con la crisi del modello liberale
di Robert Kaplan
Da
migliaia di anni la tragedia della politica è che l’impero offre una
soluzione al caos. L’imperialismo, come afferma lo storico di Oxford
John Darwin, «è stato storicamente quasi sempre l’organizzazione
politica predefinita», perché le capacità necessarie per costruire Stati
forti, per ragioni geografiche, non erano mai equamente distribuite,
così che di solito emergeva un gruppo etnico dominante.
Tuttavia,
poiché la conquista contempla arroganza, militarismo, espansionismo e
calcificazione burocratica, l’atto stesso di costruire un impero porta
in sé, secondo il filosofo tedesco Oswald Spengler, la decadenza e il
declino culturale. Gli imperi (in particolare quello britannico e quello
francese) non furono mai così scontati come prima del loro crollo. Ma
se l’impero è la norma, anche se destinato a finire tragicamente, si può
sostituire all’impero qualcosa che sia duraturo? La «Nuova via della
seta» cinese, la campagna di sovversione russa nell’Europa Centrale e
Orientale, l’Unione europea e l’ordine mondiale liberale a guida
americana sono tutti tentativi di risolvere il problema. La strategia
globale, un argomento che ossessiona le élite politiche, è
essenzialmente questo, la ricerca di un modo per evitare la trappola
dell’impero.
Cina: autoritarismo illuminato su base geografica
A
grandi linee la Cina e la Russia rappresentano un modo per affrontare
il problema; l’Unione europea e gli Stati Uniti un altro. Entrambi i
modelli hanno i loro punti di forza e di debolezza. La Cina e la Russia
sono eredi di tradizioni imperiali anti-democratiche legate alla terra. I
loro tentativi di espansione affondano le radici nella geografia e non
negli ideali.
I leader cinesi vivono con la consapevolezza che
l’Asia, all’inizio dell’età moderna, durante le dinastie Ming e Qing
(dalla metà del XIV alla metà del XIX secolo), era più stabile con un
sistema di tributi imperiali di quanto lo fosse l’Europa. Poiché
l’imperialismo cinese garantì all’Asia una relativa pace per diversi
secoli con un sistema per lo più accettato, i leader cinesi oggi non
vedono nulla di sbagliato nel loro tentativo di essere ancora una volta i
supervisori della regione, cosa che intendono semplicemente come il
ripristino dell’armonia regionale sotto una nuova e molto più sfumata
versione dell’ordine imperiale.
La Cina non è una democrazia, ma
non è nemmeno totalitarista. Questo è esattamente il suo fascino. Il suo
autoritarismo - in cui l’ordine è garantito, la politica è prevedibile,
e i dibattiti si svolgono tra la leadership, i think thank di Pechino e
la popolazione nel suo insieme - dà vita a un regime che etichettiamo
semplicisticamente in termini manichei come dittatura.
Inoltre,
l’idea del leader cinese Xi Jinping di ripristinare l’armonia regionale
rappresenta il genere di fine superiore che ha tradizionalmente definito
gli imperi di successo e le loro varianti. La «Nuova via della seta»,
che segue i percorsi delle dinastie cinesi medievali e collega la Cina
con l’Iran e l’Europa, offre all’Asia Centrale e al Medio Oriente una
visione di speranza, che potrebbe mitigare il loro isolamento
geografico, la povertà e l’instabilità.
Noi pensiamo che la Cina
rappresenti una sfida economica. È qualcosa di più. È una sfida
filosofica perché il suo sistema unico, almeno in questo frangente,
assicura al proprio popolo e ai vicini politiche di sviluppo affidabili e
concrete. Xi non è esattamente un dittatore: è una specie di dittatore,
che può ancora offrire al suo popolo una certa dose di libertà
personale e di crescita economica evitando l’anarchia. Questa è la
seduzione dell’autoritarismo con cui abbiamo a che fare. Ed è così anche
se Xi ha abolito i limiti temporali del suo mandato. La Cina ha ancora
punti di forza istituzionali che mancano alla Russia, e il governo di Xi
è ancora lontano dall’assolutismo di Saddam Hussein o degli Assad in
Siria.
La Cina non può farci nulla. Il suo dinamismo in questo
decennio potrebbe portare il sistema della «Nuova via della seta» ad
espandersi nel prossimo decennio a un ritmo insostenibile per
un’economia cinese in decelerazione. La Cina potrebbe assomigliare
ancora troppo a un regime imperiale tradizionale per sopravvivere.
Russia: un autoritarismo ottuso su base geografica
I
russi possono ben avere la mano pesante con i loro teppisti mascherati e
armati in Ucraina, ma fanno affidamento sul dominio cibernetico per
sovvertire i governi democratici, un metodo poco costoso e facilmente
negabile. Inoltre, non stanno cercando di ricreare nell’Europa Centrale e
Orientale il Patto di Varsavia, che aveva tutta l’arroganza e gli altri
inconvenienti dell’imperialismo tradizionale; concentrano solo lì la
loro forza distruttiva.
In Siria sono stati attenti a non
introdurre truppe di terra in numeri significativi. Si sono dimostrati
aggressivi con i loro vicini più prossimi; ma ugualmente cauti. Mirano a
recuperare l’intera geografia sovietica, ma senza i rischi e le spese
dell’impero. Cercano influenza; non conquista diretta. Questa è una
strategia post-imperiale intelligente. Ma il progetto post-imperiale di
sovversione nell’Europa Centrale e Orientale del presidente russo
Vladimir Putin, benché rispettoso dei confini, rivela l’ossessione di
abbattere le democrazie liberali senza alcuna superiore finalità - cosa
che non gli permette di vedere la minaccia messa in atto dalla Cina alle
porte di casa - come se le sue campagne di guerra cibernetica fossero
guidate da poco di più del risentimento per il modo in cui è finita la
Guerra Fredda.
E senza uno scopo superiore a guidarlo, il suo
imperialismo a basso contenuto calorico sarà alla fine sconfitto. La
storia ci ha ripetutamente dimostrato che, affinché l’imperialismo duri,
deve, almeno nelle intenzioni, avere un obiettivo più alto,
civilizzatore. La Cina resta saldamente in questa tradizione; La Russia
no. La Russia non è sostenuta da istituzioni forti, come la Cina; e non
offre la speranza di uno sviluppo economico come la «Nuova via della
seta» cinese. Ecco perché, a differenza della Russia, la Cina ci pone
una sfida. La differenza tra un tipo di autoritarismo e un altro a volte
può essere tanto grande quanto la differenza tra autoritarismo e
democrazia.
Ue, impero virtuale
L’Unione europea è la
risposta più innovativa all’impero. L’enfasi sulla legalità e sui
piccoli Stati la libera dall’imperialismo tradizionale, osserva lo
storico di Yale Timothy Snyder. Eppure, aggiunge, il passato dell’Europa
è quasi interamente imperiale e quindi molti Stati in Europa, in
particolare nell’Est, non hanno futuro se non sotto l’egida dell’Unione
europea, le cui dimensioni e diversità sono comunque di grandezza
imperiale.
In effetti, l’Unione europea è il vero successore del
cosmopolitismo degli imperi asburgico e ottomano, e quindi ha il
potenziale per adempiere alla funzione dell’impero in tutto il
Continente senza necessariamente cadere preda delle sue debolezze. Ma di
fronte alla versione russa del post-imperialismo, l’Ue non può
provvedere interamente alla propria sicurezza. Questo è in definitiva il
lavoro degli Stati Uniti.
Eppure l’Unione europea, a causa della
crisi del debito seguita dall’ondata di nazionalismo populista, ha
imparato una certa umiltà, meglio evidenziata dal primo ministro
italiano Paolo Gentiloni a Davos, che ha messo in guardia i colleghi
europei dall’«arroganza di un’élite digitale cosmopolita». E, pur
denunciando il nazionalismo, i suoi colleghi Emmanuel Macron e Angela
Merkel hanno entrambi parlato a Davos di lavorare per dare una risposta a
chi ne è attratto. Adesso si rendono conto che solo rendendo Bruxelles
meno remota e burocratica, la sovrastruttura quasi imperiale dell’Unione
europea può sopravvivere. L’Unione europea potrebbe trovarsi in una
posizione migliore per padroneggiare il futuro a causa della sua
esperienza di pre-morte.
Là dove l’autoritarismo russo è
inseparabile dal gangsterismo e quindi non è un modello per il futuro, e
il sistema cinese funziona proprio grazie al suo originale mix di
libertà personali e repressione politica, l’Unione europea può
sopravvivere solo diventando una democrazia non elitaria, pur mantenendo
il suo forte elemento burocratico.
Sono cruciali a questo punto
mirati aggiustamenti. Questo nuovo secolo di geopolitica che è seguito a
un secolo di ideologia richiede che le differenze tra i vari sistemi in
competizione siano più sottili che durante la Seconda guerra mondiale e
la Guerra Fredda.
Usa destinati a guidare?
L’ordine
mondiale liberale a guida americana, almeno fino all’arrivo di Donald
Trump alla Casa Bianca, è rimasto ben saldo nei suoi valori universali.
Ma questo non lo rende automaticamente post-imperiale. Perché nelle
menti dei suoi praticanti, l’imperialismo è stato spesso una missione
edificante e civilizzatrice. In effetti, la Guerra Fredda era una lotta
tra due imperi, sebbene si definissero altrimenti. L’ordine americano,
inoltre, proprio perché attraversa gli oceani, richiede grandi spese
militari. E questo, secondo molti storici, porta al declino dell’impero.
Le invasioni dell’Iraq e dell’Afghanistan e le operazioni delle forze
speciali in Siria hanno avuto tutte le caratteristiche delle spedizioni
imperiali, perché invadere un territorio significa governarlo.
Naturalmente,
l’America deve difendere i suoi valori in luoghi remoti, ma deve farlo
in modo da non appesantire il fronte interno con spese militari e morti.
Questo è più difficile di quanto sembri, dal momento che le guerre per
scelta possono apparire inizialmente come guerre di necessità.
Negli
Stati Uniti, il presidente Trump ha de-enfatizzato le guerre di stampo
imperiale in Medio Oriente, preferendo sconfiggere l’Isis senza cercare
di rovesciare il dittatore siriano Bashar al-Assad. Nondimeno, con i
suoi richiami al protezionismo e una definizione molto stretta degli
interessi americani, ha svuotato la politica estera americana di
qualsiasi scopo reale ed edificante - un altro sicuro segno di declino.
Inoltre, la sua adorazione per l’esercito unita alla decimazione del
corpo diplomatico ricorda il destino di tutti gli imperi militari,
facendo tornare alla mente la descrizione dell’antica Assiria dello
storico britannico Arnold Toynbee: un «cadavere con l’armatura».
Gli
Stati Uniti sono a un bivio, solo se riescono a trovare la propria
personale declinazione del quasi-imperialismo, saranno ancora destinati
ad avere un ruolo di guida. Eppure, per la prima volta in tre quarti di
secolo, l’America sembra priva di una grande idea capace di motivare il
mondo. Questo, più di ogni altra cosa, mette gli Stati Uniti in
pericolo.
Conclusioni
Non dovremmo dare per scontato che la
democrazia liberale rappresenti l’ultima parola nello sviluppo
politico-umano. Il sistema che trionferà sarà quello che saprà offrire
più dignità ai suoi cittadini e più speranza per i soggetti e gli
alleati esterni. In effetti, viviamo un momento di autoritarismo non
tanto per la Russia quanto per la Cina, il cui successo economico e la
strategia globale ben orchestrata - così reminiscente dell’impero - non
si basano sul suffragio universale. Ma la domanda più profonda si trova
dentro di noi.
L’America era una democrazia ispiratrice nell’era
della stampa e della macchina per scrivere. Lo stile autoritario di
Trump è un’aberrazione - o il prodotto di una nuova e volgare età del
video digitale, la cui enfasi su diverse narrazioni incoraggia la
divisione e aggira la verità oggettiva? Se è questo il caso, allora il
modello cinese di severa repressione interna potrebbe rivelarsi il
naturale successore dell’impero. Eppure, con tutto il suo fascino,
questa è una trappola che preannuncia sia un’epoca illiberale che il
declino non solo dell’America, ma dell’Occidente in generale. Quindi
dovremmo considerare l’autoritarismo illuminato come una sfida; non come
un destino.
traduzione di Carla Reschia