La Stampa 11.3.18
1938, l’Anschluss
Hitler si prende l’Austria cattolica
Ottant’anni
fa le truppe tedesche entravano a Vienna Con l’offerta del passaporto
austriaco agli altoatesini si rischia oggi un’annessione simbolica al
contrario
di Gian Enrico Rusconi
Ottanta anni fa
l’Austria veniva «annessa» alla Germania hitleriana. Anschluss è il
termine rimasto legato a quell’evento, acquistando col tempo un
significato negativo o quanto meno equivoco. Sinonimo di annessione
forzata, subìta, ingannevole. Ma storicamente non è stato così.
Anschluss era il termine carico di pathos che indicava l’aspirazione
storica della stragrande maggioranza degli austriaci (compresi i
socialisti) a ricongiungersi con la nazione tedesca. In nome di una
comune irrinunciabile identità tedesca, mediata innanzitutto dalla
lingua. Di fatto però il coronamento di questo sogno collettivo è
diventato realtà tramite un’azione militare dall’esterno e da parte di
un regime antidemocratico. Da qui la intrinseca ambiguità dell’
Anschluss.
Immancabilmente i documentari storici ci fanno vedere
un Hitler che, raggiante sulla sua Mercedes scoperta, entra a Vienna tra
folle osannanti. Ma questo trionfo di piazza è stato preceduto da
intrighi, ricatti, ultimatum di Berlino ai responsabili legali dello
Stato austriaco che avevano costretto alle dimissioni il cancelliere
Schuschnigg e alla sua sostituzione con il nazista Seyss-Inquart che
chiedeva l’intervento delle truppe tedesche. Il tutto in un clima di
virtuale guerra civile. In quel marzo 1938 non ci sono soltanto folle
esultanti ma gruppi di cittadini che finiscono nei campi di
concentramento. E non si tratta soltanto di ebrei, vittime designate nel
clima di un imperante antisemitismo. Ci sono liberali, conservatori,
cattolici non conformisti, persino «austrofascisti».
Incominciamo
da qui, da questa espressione, per capire quello che accade. Il sistema
che tracolla infatti non è esso stesso democratico ma è un sistema
autoritario, antidemocratico, clericale cui si dà il nome complessivo di
«austro-fascismo». Il riferimento al fascismo segnala un rapporto
positivo con il regime mussoliniano e un legame personale tra il duce e
il politico cristiano-sociale al governo Engelbert Dollfuss. Questi
durante il suo cancellierato (1932-1934) punta alla creazione di uno
«Stato corporativo», mescolando paternalismo e ideologia
antidemocratica, antimarxista, antisemita controbilanciata dalla presa
di distanza dal nazionalsocialismo hitleriano. Soprattutto reclama una
specifica identità austriaca contrapposta a quella tedesca sequestrata
dal nazismo. Ma si tratta di una competizione più che di un autentico
contrasto di principio. L’austrofascismo infatti si fa interprete degli
stessi valori della «comunità di popolo». Ma non c’è nulla di più
distruttivo che le contrapposizioni in nome dell’identità.
C’è
solo un aspetto originale a Vienna . Il collante dello Stato corporativo
austriaco sul piano culturale e negli istituti-chiave della vita
sociale è fornito dalla chiesa cattolica. Un favorevolissimo concordato
le affida il controllo del sistema scolastico, della normativa
matrimoniale e della pubblica moralità, la supervisione della intera
vita culturale. Da questo punto di vista non è una polemica esagerazione
parlare di clerico-fascismo.
Per un certo tempo Dollfuss riesce
là dove in Germania avevano fallito i governi presidenziali conservatori
tedeschi, cioè il contenimento del movimento nazionalsocialista. Il
partito nazista austriaco viene addirittura messo al bando. La mossa si
rivela a doppio taglio: il 25 luglio 1934 un pugno di nazisti assalta il
palazzo del governo uccidendo Dolffuss. Ma il putsch fallisce anche per
la pronta reazione di Mussolini che aiuta direttamente le forze
lealiste e mobilita dimostrativamente due divisioni al Brennero.
Il
destino dell’Austria degli anni Trenta dipende molto dall’Italia
mussoliniana e dalla sua politica estera. Ma questa muta drasticamente
proprio tra il 1934 e il 1938, con l’occupazione dell’Etiopia e
l’intervento nella guerra civile spagnola. La conseguenza più evidente è
l’avvicinamento alla Germania hitleriana che si concretizza con
l’abbandono di Vienna al suo destino. Senza il consenso del duce, nel
marzo 1938 il Führer non avrebbe osato «annettere» l’ Austria.
L’Anschluss diventa così un tassello importante della fatale alleanza
italo-tedesca. L’Austria intanto, parte e provincia del Terzo Reich,
perde la sua autonomia statale e persino il suo nome (diventa Ostmark) .
Ma gli austriaci combatteranno lealmente con i tedeschi - spesso con
particolare zelo - nella guerra mondiale sino all’ultimo.
Nel
frattempo però si registra una decisione diplomatica di assoluta
rilevanza. Il 30 ottobre del 1943 a Mosca le tre grandi potenze Usa,
Urss e Regno Unito rilasciano una dichiarazione nella quale si afferma
che l’Austria è stata «la prima vittima dell’aggressione». Questa
dichiarazione (ripresa e perfezionata nel trattato di pace del 1955)
diventerà la prova decisiva a sostegno della legittima continuità dello
Stato austriaco nonostante l’intermezzo dell’ «annessione». E
indirettamente il riconoscimento di una specifica identità austriaca.
Avremmo
concluso qui l’analisi della complessa vicenda austriaca, se
inaspettatamente oggi non stesse accadendo a Vienna qualcosa di ambiguo,
proprio in tema di identità austriaca, che coinvolge direttamente il
nostro paese. Mi riferisco alla proposta avanzata, poi ridimensionata e
al momento poco chiara, di offrire agli altoatesisi/ sudtirolesi
italiani di lingua tedesca anche la cittadinanza austriaca. Un gesto
simbolico solo apparentemente innocuo. L’indiretta offerta della
cittadinanza austriaca , assolutamente inutile data l’ottima condizione
di autonomia di cui godono i cittadini sudtirolesi di lingua tedesca,
aprirebbe un’ ambigua rivendicazione identitario-linguistica che farebbe
regredire ai tempi del nazionalismo più ottuso. Una specie di Anschluss
simbolico perpetrato questa volta in senso contrario dalla stessa
Vienna.