La Stampa 11.3.18
Siria, il rischio di una collisione Usa-Turchia
di Charles A. Kupchan
Insieme
alla penisola coreana la Siria è oggi uno dei luoghi più pericolosi del
mondo. Un campo di battaglia dove si scontrano forze armate delle varie
parti in gioco, Stati Uniti, Russia, Turchia, Iran, Israele, il regime
siriano, l’Esercito siriano libero, le Forze democratiche siriane,
Hezbollah, e gruppi estremisti di varie bande.
Mentre continua il
massacro dei civili, sembra profilarsi ora un particolare pericolo: gli
Stati Uniti e la Turchia sono in rotta di collisione nel Nord della
Siria. Le forze americane sono alleate con una fazione dei curdi
siriani, le Unità di protezione popolare (Ypg), contro cui la Turchia ha
recentemente sferrato un’offensiva militare. Le forze americane e
turche potrebbero quindi arrivare a uno scontro sul campo di battaglia
della Siria, contrapponendo così l’uno contro l’altro due membri della
Nato e portando al punto di rottura il rapporto Usa-Turchia.
Washington
e Ankara devono fare un passo indietro prima che sia troppo tardi. Gli
Stati Uniti e la Turchia hanno ancora bisogno dell’aiuto reciproco per
contribuire a stabilizzare un Medio Oriente in fermento. E se la
democrazia turca è già messa in pericolo dalla svolta autocratica del
presidente Erdogan, una rottura con gli Stati Uniti probabilmente lo
spingerebbe a irrigidire ulteriormente le sue posizioni e potrebbe
potenzialmente porre fine all’allineamento geopolitico della Turchia con
l’Occidente - un duro colpo sia per la Turchia sia per la comunità
atlantica.
In Siria gli Stati Uniti e la Turchia si trovano
davanti a un ineluttabile scontro di interessi. Washington sostiene a
buon diritto la sua collaborazione militare con le Ypg, le milizie curde
incaricate di guidare l’attacco all’Isis e cacciarlo da Raqqa. Le
milizie alternative non avevano i mezzi militari necessari per una
missione del genere. Al contempo, Ankara ha tutti i motivi per essere
profondamente disturbata dal sostegno degli Stati Uniti alle Ypg a causa
dei legami con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), il gruppo
curdo separatista che a lungo ha condotto una campagna terroristica
contro la Turchia.
Ora che Isis è in fuga, gli Stati Uniti e la
Turchia dovrebbero darsi da fare per ricucire i rapporti. Ma stanno solo
peggiorando le cose. Gli Stati Uniti stanno consolidando i legami con
le Ypg, vedendo in quest’alleanza un mezzo per preservare l’influenza
degli Stati Uniti nella Siria del dopoguerra. Sentendosi tradita da
Washington, Ankara sta proseguendo la sua campagna militare contro
queste milizie nell’enclave curda di Afrin e minaccia di arrivare fino a
Manbij, una città a Est di Afrin dove c’è una considerevole presenza di
truppe delle Ypg e statunitensi. L’offensiva turca ha già distolto le
Unità di protezione popolare dalle fasi finali della lotta contro
l’Isis.
Gli Stati Uniti e la Turchia devono invertire la rotta
quanto prima. Con la sconfitta dell’Isis in vista, Washington può
permettersi di ridimensionare il proprio sostegno alle Ypg e
concentrarsi sulle priorità turche. Gli Stati Uniti sono riluttanti a
fare un passo indietro rispetto ai curdi, perché temono che questo
comprometterebbe la possibilità di fare affidamento su di loro per
contrastare l’influenza iraniana e russa in Siria. Ma Washington sta
sopravvalutando il ruolo dei curdi per controllare l’influenza regionale
di Teheran e Mosca. Gli Stati Uniti possono adempiere al meglio a tale
compito investendo nelle relazioni con la Turchia e aiutando Ankara a
espandere la propria influenza in Siria.
Beninteso, gli Stati
Uniti non possono abbandonare i curdi siriani; sono stati alleati leali e
hanno sopportato pesanti sacrifici nella lotta all’Isis. Ma ora che è
in fuga, Washington dovrebbe riprendersi le armi pesanti che ha dato
all’Ypg per conquistare Raqqa e fare pressione perché ritirino i loro
combattenti e restituiscano il potere politico alle comunità locali
nelle aree non curde che hanno strappato al controllo dell’Isis. Gli
Stati Uniti dovrebbero anche dire chiaramente ai curdi siriani che li
aiuteranno a ottenere l’autonomia regionale che cercano solo se
rinunciano al Pkk e alla sua campagna di terrore contro la Turchia.
In
cambio, occorre che Ankara si ritiri dalla sua offensiva militare
contro le Ypg - che si è già impantanata - e inizi a investire in una
relazione pragmatica con i curdi siriani che li allontani dal Pkk e
punti a renderli interlocutori responsabili nella Siria del dopoguerra.
Idealmente, Erdogan dovrebbe fare leva sulle sue credenziali
nazionaliste per cercare di riavvicinarsi alla più ampia comunità curda,
incluso il Pkk. Con circa 15 milioni di curdi in Turchia e altri
milioni nel Nord dell’Iraq e della Siria, la strategia del confronto
militare è un vicolo cieco. Ma poiché Erdogan ha abbracciato il
nazionalismo militarizzato in vista delle elezioni in programma per il
prossimo anno, gli manca la lungimiranza necessaria per iniziare a breve
negoziati per contenere il Pkk.
L’apertura di un dialogo con i
curdi in Siria, tuttavia, offre a Erdogan una vittoria sia politica che
strategica. Può dimostrare di avere abilità diplomatiche oltre alla
spacconeria e alla spavalderia. E può uscire dal pasticcio strategico
che ha combinato nel Paese.
Attaccando le Ypg, Ankara le sta
spingendo tra le braccia del Pkk. Al contrario, comunicare con loro le
allontanerebbe dal Pkk, approfittando del loro vivo desiderio di
attirare il sostegno e la legittimazione internazionale mentre cercano
di consolidare la propria posizione nel panorama politico post-bellico.
Erdogan ha anche bisogno di una zona cuscinetto stabile sul lato siriano
del confine turco, sia per tenere a bada l’estremismo e la violenza che
probabilmente affliggeranno ancora per qualche tempo la Siria sia per
garantirsi zone sicure in cui la Turchia potrà restituire i profughi
siriani
Con i curdi che controllano la maggior parte della Siria
settentrionale, Ankara ha bisogno della loro buona volontà, non della
loro animosità. La Turchia ha bisogno di disgelo. Ankara è molto più che
isolata. È estraniata dall’Europa e dagli Stati Uniti ed è in contrasto
con la Russia, l’Iran e la maggior parte dei suoi vicini. In patria, la
democrazia turca, a lungo modello per il Medio Oriente, sta
tramontando.
L’Occidente sta perdendo la Turchia. Il primo passo
per scongiurare questo esito è che Washington e Ankara arrivino a una
soluzione per i curdi della Siria
Traduzione di Carla Reschia