La Stampa 11.3.18
“Gerusalemme sia il Comune di tutti. Io palestinese mi candido sindaco”
Il tabù sfidato da Ramadan Dabash: dal 1967 gli arabi boicottano il voto
di Elena Loewenthal
Gerusalemme
è una città dove il tempo ha le sue misure. E’ apparentemente immobile
come la pietra chiara di cui sono fatte le sue case, eppure ha una
straordinaria e imprevedibile capacità di cambiare e far cambiare le
cose.
Mentre il mondo discute intorno alle dichiarazioni di Trump e
aspetta di vedere quando e come l’ambasciata americana (seguita a
ruota, forse, da quella di altri paesi come il Guatemala e la Repubblica
Ceca i cui presidenti si sono espressi in tale direzione) salirà da Tel
Aviv a questa città tanto eterna quanto fragile, lassù succedono cose
fino a poco tempo fa impensabili.
A ottobre di quest’anno ci
saranno infatti le elezioni municipali in questa città che dal 1967 in
poi ha visto avvicendarsi soltanto quattro sindaci – il mitico Teddy
Kollek fino al 1993, Ehud Olmert (1993-2003), Uri Lupolianski
(2003-2008) mentre da dieci anni ormai è saldamente guidata da Nir
Barkat. Sempre nel 1967, all’indomani della Guerra dei Sei Giorni e di
quella che per Israele fu la riunificazione della città e per i
palestinesi l’inizio dell’occupazione, questi ultimi, che rappresentano
circa il 37 per cento della popolazione totale di Gerusalemme, sancirono
un boicottaggio politico sino ad oggi mai smentito. Partecipare alle
elezioni municipali, sia da votanti sia da candidati, avrebbe per loro
significato accettare in qualche modo la sovranità israeliana su
Gerusalemme. Qui vivono infatti ebrei e arabi con passaporto israeliano
oltre a residenti della zona est della città che hanno assistenza
sociale e diritto di voto nelle consultazioni amministrative.
«Ritengo
che per la popolazione sia giunto il momento di votare. Secondo alcuni
questo sarebbe una forma di normalizzazione e “israelianizzazione” di
Gerusalemme, ma io dirò loro che questo deve essere il comune di tutti,
il paese di tutti», ha dichiarato Ramadan Dabash annunciando la
creazione di un partito palestinese pronto a correre nelle prossime
consultazioni.
Dabash è un ingegnere che vive a Gerusalemme est,
ha il suo studio nella parte occidentale della città, ha studiato al
Technion di Haifa e poi a Mosca, insegna a Tel Aviv, è presidente del
consiglio locale del quartiere di Tzur Baher, ha quattro mogli, un sacco
di figli e un programma politico animato di sano pragmatismo: «Non ho
nessuna intenzione di rinunciare alla moschea di Al-Aqsa, di convertirmi
all’ebraismo o abbandonare il nazionalismo palestinese. Ma dobbiamo
avere il nostro posto in consiglio comunale».
La mossa di Dabash
ha subito destato reazioni tanto animate quanto contrastanti. Per molti
palestinesi di Gerusalemme esercitare il diritto di voto alle prossime
elezioni municipali è ancora un tabù, ma tanti altri sono dell’avviso
che le cose debbono cambiare, e così la pensa anche quel 60 per cento di
israeliani della città favorevole alla partecipazione politica dei
palestinesi. Proprio lo stallo del processo di pace e la crescente
frustrazione con cui guardano all’inerzia dell’Autorità Palestinese
potrà indurre le nuove generazioni di palestinesi di Gerusalemme a
prendere l’iniziativa sul piano locale, prima di tutto andando a votare.
Dabash
è fortemente motivato, sa che dovrà affrontare una strenua opposizione
interna e per questo non ha aspettative troppo ambiziose. Ma il suo
gesto è di per sé il segno non soltanto di un futuro cambiamento che
sarà presumibilmente tanto lento quanto inevitabile, e che prima o poi
trasformerà il volto della dirigenza gerosolimitana. E’ prima di tutto
la testimonianza di quanto Gerusalemme sia per davvero al centro del
mondo, per lo meno del suo – di quel Medioriente che per sopravvivere
alla propria storia non può che diventare una palestra di convivenza:
perché se di qui è uscita la parola del Signore, come dice la Bibbia, di
qui e non altrove potrà venire anche quella “parola” creativa in grado
di offrire soluzioni politiche praticabili, in un delicato ma necessario
equilibrio fra passato e futuro.