Il Fatto 11.3.18
Iran, chi ha paura delle signore senza velo
La condanna. Tre mesi di reclusione per “avere pubblicamente incoraggiato la corruzione morale”
di Tiziana Della Rocca
È
arrivata la notizia, non a caso a ridosso della festa della donna,
dell’arresto della coraggiosa attivista anti hijab in Iran. La sua
identità è nascosta, come se fosse un bene tenerla celata, eppure, come
per una illuminazione, sembra proprio si tratti di Vida Movahed, la cui
foto con il velo tra le mani, fece il giro del mondo e lo commosse, e
spronò altre donne alla ribellione, a combattere la cupezza di certi
uomini che le vorrebbero mute. Le triti ombre l’accusano di “avere
pubblicamente incoraggiato la corruzione morale”, tre mesi e poi fuori,
ma il feroce Abbas Jafari Dolatabi, il procuratore capo di Teheran, ha
già detto che farà di tutto affinché la donna resti tutti i 24 mesi in
carcere. E poi? Chissà. Si entra in certe prigioni, e le donne, una
volta uscite, si sentono poi sotto osservazione costante, come se
avessero dei guardiani che, godendo della loro spietatezza, le
sorveglino giorno e notte.
Per capire da cosa sorge l’attuale
protesta delle donne in Iran, occorre tornare al marzo del 1979 quando
la rivoluzione iraniana non era ancora khomeinista e le donne chiamarono
la femminista americana Kate Millet il 6 marzo del 1979 a festeggiare:
trappole su trappole, proprio quel giorno Khomeini fece un discorso a
Qom, invocando l’obbligo dell’hijab per tutte le donne. E nel giro di
qualche giorno i pasdaran al grido di “roussari ya roussari” “velo sulla
testa o botte in testa” attaccarono le manifestanti scese subito in
piazza contro l’obbligo. Poi Khomeini introdusse la Sharia, quindi il
divieto di abortire, la pena di morte per adulterio o blasfemia, le
“spose bambine”… tutto quel che poteva nuocere alla libertà delle donne.
Oggi
come ieri, le iraniane che protestano sanno benissimo quale sia il
senso dell’imposizione del velo da parte degli ayatollah: umiliarle,
tutto il resto è fasullo, poca cosa.
Proprio perché gli islamisti,
in un modo o nell’altro le temono, devono sottometterle, e una volta
riusciti a farlo, le costringono a girare vestite in quel modo, e non
paghi dicono pure che è per il loro bene. È questo un altro lurido
imbroglio, il modo con cui cercano di legittimare, e spesso ci riescono,
il loro sadismo imposto sulle donne, con la forza e con il ricatto.
La
derisione con cui Ali Khamenei considera il movimento occidentale
#Metoo è sì sadica ma rivela anche il suo terrore e la fragilità della
sua ideologia, come se potesse miseramente crollare sotto i colpi della
protesta femminile. Khamenei dice che grazie al movimento #Metoo si è
scoperto che in Occidente un numero notevole di donne ha subito stupri e
abusi mentre in Iran grazie al velo queste cose non succedono! E ha
aggiunto “il velo è immunità, protezione non costrizione” e poi “nella
logica islamica il ruolo della donna è inserito in una cornice precisa.
Una donna islamica è colei che è guidata dalla fede e dalla castità.
Mentre oggi c’è un quadro deviante, un modello di donna che è offerto
dall’Occidente”. Le parole di costui, che cercano di relegare in un
morto quadretto le signore donne, è osceno, un invito allo stupro, dove
sguazzare felici. Si può essere stupratori anche senza stuprare le
donne, basta averne la voglia, o il disprezzo, o l’intenzione, e dire:
“Care donne io vi copro così agli uomini passa la voglia di stuprarvi”. È
questo in realtà il suo vero pensiero.
E questi sarebbero i
grandi teologi, maestri e interpreti del Corano? Uomini che si credono
potenti quando pensano di marchiare per sempre le povere ragazze? Eppure
nel corpo e nella mente delle ragazze così violate qualcosa sempre
resta, qualcosa di forte, di degno, di divino. Come in antichi tempi, le
donne resistono al martirio, per quanto umiliate mai lo saranno. Il
marchio semmai è altrove, resta nel corpo e nella nera testa di coloro
che le violano.