l manifesto 13.3.18
La protesta dei contadini in marcia da Nasik a Mumbai
La lunga marcia dei contadini sfida l’India di Modi e vince
Dopo
180 km. Si è conclusa a Mumbai l’eccezionale protesta pacifica dei
braccianti del Maharashtra, affiliati al Partito comunista indiano.
Media e governo, di solito concentrati sulla crescita a tutti i costi,
costretti a fare i conti con lo stato disastroso del settore agricolo
di Matteo Miavaldi
NEW
DELHI Si è conclusa ieri nel centro di Mumbai, la capitale economica
dell’India, l’eccezionale protesta pacifica dei braccianti dello stato
del Maharashtra, soprannominata dai media nazionali la «Lunga Marcia dei
contadini». Nomignolo abbastanza appropriato per descrivere sia le
modalità della protesta sia la composizione di un movimento che ha
efficacemente richiamato l’attenzione dei media mainstream sulle
condizioni preoccupanti in cui, da anni, versa il settore
dell’agricoltura indiana.
PARTITI DALLA CITTÀ DI NASIK una
settimana fa, decine di migliaia di contadini hanno marciato giorno e
notte per quasi 180 km – con temperature che già superano facilmente i
40 gradi, in questa stagione – fino a raggiungere Mumbai, senza deroghe
al carattere assolutamente pacifico di una protesta indetta dall’Akhil
Bharatiya Kisan Sabha, il collettivo di contadini affiliato al Partito
comunista indiano (marxista).
Ad eccezione dei disagi al traffico,
gli oltre 40mila contadini in marcia sono riusciti a cogliere
l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale senza ricorrere a episodi
di violenza: risultato già di per sé sorprendente, considerando gli
effetti che la propaganda governativa – tutta crescita e avvenirismo
tecnologico – in questi anni ha avuto sui media classici, più impegnati a
misurare il presunto progresso dell’India urbana che ad analizzare
l’emergenza in cui vivono centinaia di milioni di contadini indiani
residenti nell’«altra India», quella delle campagne.
LÌ I SOGNI DI
CRESCITA e progresso promessi dal primo ministro Narendra Modi (leader
del Bharatiya Janata Party, Bjp) si sono infranti contro una realtà
durissima evidenziata anche nell’ultimo Economic Survey stilato
dall’esecutivo di New Delhi. Secondo le statistiche governative, la
crescita del comparto agricolo stagna intorno a un misero +1,8 % (metà
di quanto registrato nella precedente amministrazione dell’Indian
National Congress) e le entrate dei contadini sono mediamente in caduta
libera, costringendo chi può a ricorrere all’indebitamento, sperando in
un raccolto generoso.
Ma tra siccità e terapie shock come la
demonetizzazione del 2016 – con annesso credit crunch – ai contadini non
è rimasto altro che protestare contro le istituzioni, chiedendo
meccanismi che fissino un prezzo minimo di vendita dei prodotti agricoli
e la cancellazione di debiti contratti con gli istituti bancari locali.
ISTANZE
COMUNI AI CONTADINI di tutto il paese, sfociate in una serie incessante
di proteste e scioperi sparsi a macchia d’olio e sistematicamente
rientrati dietro i «capiamo la vostra sofferenza, ce ne occuperemo»
delle autorità locali. Promesse spesso arenatesi sull’iperburocrazia –
dolosa? – della pubblica amministrazione indiana.
LA LUNGA MARCIA
dei contadini, secondo le intenzioni dei manifestanti, intende
precisamente superare la fase delle promesse istituzionali, pretendendo
l’applicazione di misure immediatamente tangibili da un settore che, con
la stagione secca che si farà rovente nelle prossime settimane, non può
davvero più aspettare.
Oltre alla cancellazione del debito e ai
prezzi minimi, una parte consistente dei manifestanti chiede anche
l’applicazione delForest Rights Act del 2006, la legge che dovrebbe
assegnare la proprietà dei terreni coltivati a chi da generazioni vive e
lavora terre considerate «foreste» dalla legge indiana e, quindi, di
proprietà dello stato. Nella maggioranza dei casi si tratta di
braccianti appartenenti alle cosiddette «scheduled tribes», i tribali
riconosciuti ufficialmente dallo stato indiano che, senza un collaterale
terriero da impegnare, non hanno accesso al credito bancario,
guadagnando tra le 50 e le 100 rupie (poco più di un euro) al giorno per
lavorare una terra non loro.
DOPO AVER RICEVUTO una delegazione
dei manifestanti, nella serata di ieri il chief minister del Maharashtra
Devendra Fadnavis (Bjp) ha annunciato che il governo locale ha
accettato «la maggior parte» delle richieste avanzate dai contadini ed
entro sei mesi un comitato nominato ad hoc, con due rappresentanti del
collettivo dei braccianti, vaglierà le richieste di attribuzione delle
terre ai tribali. «Vi faremo sapere», insomma.