il manifesto 13.3.18
Afrin circondata, turchi pronti all’invasione
Siria.
L'esercito di Erdogan a un chilometro e mezzo dal centro del cantone
curdo-siriano, decine di migliaia di sfollati. I civili: faremo
interposizione con i nostri corpi. A Ghouta est in 700 scendono in
strada per chiedere alle opposizioni di negoziare con il governo:
islamisti aprono il fuoco
di Chiara Cruciati
Domenica
le truppe turche e l’Esercito Libero Siriano, opposizione a Damasco
agli ordini di Ankara, si sono portati a 2,5 km dalla città di Afrin.
Ieri erano a un chilometro e mezzo: l’invasione del principale centro
del cantone curdo-siriano è imminente. Con il passare delle ore cresce
il timore di una strage, anticipata da un intensificarsi dei raid aerei.
Nei
52 giorni di operazione turca, secondo il Consiglio per la Salute di
Afrin, sono stati uccisi 232 civili, 668 i feriti. Il 90% ha perso la
vita in attacchi aerei. Ed è crisi umanitaria: l’esercito turco ha
tagliato l’acqua, colpito ospedali e scuole, distrutto campi profughi.
Sono decine di migliaia i civili in fuga dai villaggi del distretto
verso il centro della città per sfuggire alle bombe e all’avanzata
terrestre.
Centinaia di sfollati stanno trovando rifugio nelle
case che altre famiglie hanno aperto per loro, mentre la popolazione si
mobilita: i civili, dicono da Afrin, sono pronti a farsi scudo umano, a
fare interposizione con i propri corpi. La comunità è circondata: le
truppe turche premono da nord e sud e stanno completando
l’accerchiamento a est e ovest, eliminando ogni via di fuga.
Alla
voce della gente si unisce quella dell’amministrazione autonoma del
cantone, creatura figlia dell’autogestione che da anni caratterizza
Rojava e che domenica ha fatto appello al Consiglio di Sicurezza
dell’Onu.
Ma al Palazzo di Vetro a risuonare è il silenzio: i 15
membri ieri si sono riuniti a New York a porte chiuse per discutere di
Ghouta est e della tregua in Siria prevista dalla risoluzione 2401, ma
non delle iniziative belliche del governo turco.
L’ambasciatrice
Usa Haley ha alzato la voce contro la Russia, minacciato un intervento
in solitaria e presentato una nuova bozza di risoluzione che «non lascia
spazio» a chi non rispetta la tregua, ma non ha nominato Afrin. A una
situazione fuori dalla legalità internazionale non reagisce nessuno.
Non
lo fanno gli Stati uniti, neppure di fronte alle reiterate minacce del
presidente Erdogan che di nuovo sabato ha promesso di marciare su Kobane
(simbolo della resistenza all’Isis) e Manbij (dove stazionano 2mila
marines Usa). E con la Russia che tace, qualche notizia giunge dal
fronte governativo: dopo le migliaia di combattenti pro-Assad inviati a
proteggere i confini di Afrin ma tuttora silenti, ieri l’Osservatorio
siriano (organizzazione basata a Londra e parte del fronte anti-Assad)
ha riportato del dispiegamento a Nbul e al-Zahraa, 21 km a sud di Afrin,
della Guardia repubblicana siriana. E proprio da Nbul verso Aleppo
stanno fuggendo migliaia di civili, con fonti locali che parlano già di
25mila sfollati fuori dal cantone.
In Occidente gli unici a
mobilitarsi sono i cittadini: da giorni le principali città europee sono
teatro di presidi in solidarietà con Afrin, in Germania, Francia,
Olanda, Svezia, Russia, Belgio, Regno Unito. In Italia migliaia di
persone hanno preso parte da sabato a ieri a sit-in a Torino, Bologna,
Padova, Roma, Reggio Emilia.
La battaglia prosegue anche nella
capitale. Nelle ultime 48 ore l’esercito governativo ha ripreso la città
di Medeira, a Ghouta est, spezzando la continuità del territorio
controllato dal 2013 dalle opposizioni islamiste e dividendo la parte
sud dalle due principali città , Harasta e Douma.
Douma è
circondata ma le milizie salafite e qaediste non si arrendono: ieri la
stampa Usa riportava di un accordo di evacuazione tra Jaysh al Islam e
Mosca e l’Afp di un incontro tra opposizioni e funzionari governativi
per discutere l’uscita, ma non ci sono conferme.
A fronte di voci
di fratture interne agli anti-Assad, le unità islamiste dell’Esercito
Libero smentiscono la resa, consapevoli che perdere uno degli ultimi
bastioni aprirà alla perdita del sostegno degli sponsor esterni (Golfo e
Turchia). Lo sa anche Damasco che ieri è tornata a colpire Daraa, terza
enclave islamista con Ghouta e Idlib, nel sud del paese.
Tanto
poca è la voglia di arrendersi che ieri, riporta l’Osservatorio, i
jihadisti hanno aperto il fuoco su 700 civili che a Kafr Batna, a Ghouta
est, chiedevano l’accordo con il governo. Una persona è stata uccisa.
Con
la guerra data per conclusa che continua, il bilancio delle vittime a
Ghouta est – secondo fonti di opposizione – sarebbe di 1.144 civili
uccisi, di cui 240 bambini. Difficile stabilire quanti ne ha uccisi il
governo e quanti gli islamisti che colpiscono con i missili anche la
capitale, provocando decine di morti. Di certo c’è la crisi umanitaria: a
Ghouta est si sta letteralmente morendo di fame.