internazionale 11.3.18
Spagna
Bambini dimenticati Per
decenni la chiesa e le istituzioni spagnole hanno sottratto alle madri
decine di migliaia di neonati. Le vittime aspettano ancora giustizia
Di Gorka Castillo, Ctxt, Spagna.
Non
esiste un’eredità del passato spagnolo più carica di sofferenza e
vergogna di quella dei bambini rubati. Le stime parlano di decine di
migliaia di neonati strappati alle loro madri, in un arco di tempo che
va dal 1936 all’inizio degli anni duemila. Finivano in mano a una rete
di poteri che disponeva in totale impunità di ospedali, carceri e case
famiglia per ragazze madri gestite dalla chiesa, senza che nessuno
muovesse un dito. Erano orfani, figli dei repubblicani, bambini della
diaspora che tornavano in Spagna da un’Europa in fiamme e neonati di
donne disperate o sole negli anni della transizione. Secondo la Fibgar,
la fondazione per i diritti umani dell’ex magistrato Baltasar Garzón,
più di trentamila neonati sono stati sottratti o adottati illegalmente.
Secondo la piattaforma Te estamos buscando e altre organizzazioni
simili, la cifra sarebbe molto più alta. Alcuni parlano di centomila
neonati, altri di 180mila. L’associazione nazionale delle adozioni
irregolari (Anadir) arriva a trecentomila. Un disastro che si consuma
nell’incredulità e nello sconcertante disinteresse delle istituzioni
spagnole. Secondo il presidente dell’associazione Camino de la justicia,
Pedro Caraballo, “un naufragio morale così grande richiede la
realizzazione urgente di un censimento nazionale”. Il sistema ha
cominciato a incrinarsi nel 2008, quando sono arrivate le prime denunce
ai tribunali spagnoli. A quel punto le autorità pubbliche e private
hanno deciso di indagare. Il caso dei neonati rubati, degli scambi e
delle adozioni irregolari non è solo una vicenda spregevole. “È stata
un’operazione così organizzata e spietata da sembrare quasi surreale”,
dice Caraballo. Il fatto che il 95 per cento delle denunce presentate
sia stato archiviato per mancanza di prove è significativo. Le vittime
cercano da sole indizi per avere una certezza o un improbabile conforto
nella ricerca della loro vera identità. Il parlamento spagnolo sta
cercando di prendere in mano questa situazione delicata e caotica, che
il silenzio contribuisce ad alimentare. “Una commissione d’inchiesta
potrebbe accedere ai documenti che rivelano il destino di centinaia di
bambini sottratti ai genitori e affidati ad altre famiglie in
quell’epoca di impunità”, dice Caraballo. Crimini contro l’umanità
Nel
2014 l’Onu aveva chiesto al governo spagnolo di facilitare “l’accesso
agli archivi e ai registri ufficiali e non ufficiali di nascita” entro
novanta giorni. ma quell’appello è caduto nel vuoto. Poco dopo, nel
2015, si è espressa anche la Commissione europea, invitando le vittime a
presentare i loro casi alla corte europea di Strasburgo. “Sono denunce
contro lo stato spagnolo per crimini contro l’umanità”, ha scritto la
presidente della commissione per le petizioni del parlamento europeo,
Cecilia Wikström, al ministro degli esteri spagnolo Alfonso Dastis.
L’Unione europea ha chiesto la creazione di una banca del dna per
incrociare i dati delle vittime e l’istituzione di una commissione
d’inchiesta parlamentare. Inoltre ha invitato la chiesa ad ammettere il
suo coinvolgimento nei rapimenti dei neonati. Nel 2017 il governo
spagnolo ha destinato centomila euro a queste iniziative, e il
parlamento ha ascoltato le prime testimonianze. È un piccolo passo. ma
su più di cinquemila persone che dal 2011 hanno denunciato la loro
situazione, solo quattordici hanno trovato quello che cercavano. E ce
l’hanno fatta grazie alla loro tenacia, non all’intervento della
giustizia. Una di queste persone è Paloma Pérez Calleja. Ha ottime
ragioni per essere orgogliosa del suo coraggio. È una delle poche
persone con due certificati di nascita. Il primo è datato 4 marzo 1957 e
riporta il nome di Augustina, il secondo è falso e fu creato da un
gruppo di suore, ostetriche e medici per placare l’angoscia sconsolata
di una donna che aveva partorito, o così le avevano detto, una bambina
morta. La chiamarono María de la Paloma e quello è rimasto il suo nome.
Fino a quando, tredici anni fa, è riuscita a strappare alla sua falsa
madre la verità. “L’11 febbraio 2004, per l’esattezza. Una data che non
dimenticherò mai”, spiega. Accadde tutto nel vecchio istituto di
ostetricia e ginecologia di calle O’Donnell, a Madrid, uno dei centri
fondati dall’opera pia di Francisco Franco a cui si rivolgevano molte
donne in difficoltà. “A un certo punto il sospetto era diventato così
grande che non ce l’ho fatta più. Ho fatto sedere mia madre adottiva e
le ho chiesto direttamente: ‘Sono tua figlia?’”, ricorda Paloma,
cercando di trattenere una lacrima. Per quanto si aspettasse la risposta
della madre, non è comunque stato facile accettarla. “mi ha detto che
aveva avuto tanti figli che non lo ricordava più, ma io ho insistito, e
allora mi ha detto la verità”, aggiunge con la voce rotta. Accanto a
lei, suo marito le accarezza le spalle nel silenzio turbato di alcuni
amici presenti. Paloma prende fiato e alza lo sguardo: “La mia vera
madre era una donna umile che lavorava al servizio di un signorino che
l’aveva messa incinta. Fu costretta ad abbandonarmi per cinquecento
pesetas”, dice, senza mostrare la minima commozione.
Suor María
Un’altro
caso è quello di Marga Pérez, 58 anni. Il 5 aprile 1981 diede alla luce
il suo terzo figlio, un maschietto, nel reparto di maternità
dell’ospedale di Santa Cristina di Madrid. Dopo ore interminabili di
travaglio sentì che finalmente il bambino si muoveva e respirava per la
prima volta. Senza darle neanche il tempo di accarezzare il neonato, una
suora lo mise su un lettino e lo portò via. “Gli dissi che volevo
vedere il mio bambino, di riportarmelo, che lo volevo tenere con me”.
Marga non l’ha più rivisto. Lo dice con gli occhi scuri velati di
lacrime. Abbassa lo sguardo e sospira. “Suor María l’aveva preso per
fargli degli esami, e poi mi disse che era morto”, continua. ma non era
vero. A Marga non fu mai restituito il cadavere del figlio, non poté
neanche fargli una carezza per consolarsi e alleviare il suo dolore. Non
solo: “La suora minacciava di portarmi via gli altri bambini se avessi
continuato a chiedere di lui”. Marga non ha mai dimenticato quel momento
terribile. Era così sicura che il bambino non fosse morto che continuò a
tornare al reparto di maternità, giorno dopo giorno, anno dopo anno,
ino a quando non incontrò un’assistente sociale che prese a cuore la sua
storia. Cercò la sua cartella e gliela fece avere. “Il bambino non era
morto”, dice. Nonostante tutto, il caso di Marga è uno dei tanti che
sono stati archiviati da un tribunale di Madrid. Secondo la giustizia
non c’erano prove sufficienti per aprire un’inchiesta e accertare le
responsabilità. Sono centinaia i casi come questo. Quella suora che
l’aveva separata dal suo bambino è un personaggio chiave della rete che
per anni ha agito impunemente negli ospedali pubblici e nelle cliniche
private di tutta la Spagna. Si chiamava María Florencia Gómez Valbuena,
apparteneva all’ordine delle Figlie della carità di san Vincenzo de’
Paoli ed è morta il 22 gennaio 2013. Il suo nome è legato a quello del
dottor Eduardo Vela, ex direttore della clinica San Ramón di Madrid,
citato nella maggior parte dei fascicoli aperti dai tribunali. La firma
di María Valbuena compare in centinaia di documenti di adozione, e nel
2012 la giustizia non ha potuto evitare d’imputarle la sottrazione di
Pilar Alcalde dalla clinica Santa Cristina. ma non c’è stato tempo per
processarla. È morta l’anno dopo. O almeno questo è quello che hanno
dichiarato le altre religiose dell’ordine, perché l’enigma di suor María
è proseguito nell’aldilà: il numero del suo certificato medico di morte
e quello che appare nel registro ufficiale non coincidono. Quattro
numeri su otto sono diversi. Un errore insolito. Forse si è trattato
solo di uno sbaglio, ma i sospetti sono aumentati quando si è saputo che
teoricamente María Valbuena era stata sepolta prima dell’annuncio della
sua morte. Un mistero che farebbe la gioia di qualunque detective.
Anche Consuelo García del Cid ha conosciuto il mondo del traffico
illegale di neonati. Da adolescente, nella Barcellona degli anni
settanta, fu arrestata e trasferita a Madrid nel centro di calle del
Padre Damián, gestito da un ordine di suore. Lì dentro la situazione era
tremenda. “ma il centro di Peñagrande era ancora peggio. Era l’unico
per minorenni incinte. Un giorno arrivarono da lì due ragazze. Avevano
appena partorito. Avevano il seno fasciato e piangevano, dicevano che
gli avevano tolto i bambini dopo il parto. Il furto di neonati lì era
considerato una cosa normale”, racconta.
Chi gestiva la tratta di
neonati in Spagna? Le testimonianze di centinaia di vittime coincidono,
e Consuelo García ha studiato a fondo la questione. “Il Patronato di
protezione delle donne presieduto da Carmen Polo, la moglie di Franco.
Era un’istituzione che dipendeva dal ministero della giustizia, attiva
dal 1952 al 1978. Durante la transizione cambiò nome e diventò
l’Istituto per la promozione della donna, ma non cambiò i suoi metodi.
Controllava decine di centri in tutta la Spagna gestiti da ordini
religiosi dove finivano donne povere, ragazze considerate dissolute,
figlie ribelli di buona famiglia”, racconta García. Il rompicapo che
deve affrontare qualsiasi commissione che cerchi di identificare le
migliaia di persone coinvolte potrebbe essere risolto con un registro
delle impronte digitali dei neonati. ma ancora oggi non esiste niente di
simile. Il pediatra Antonio Garrido-Lestache, 84 anni, ha creato anni
fa un metodo infallibile per stabilire la filiazione, “un semplice
documento d’identità al momento della nascita”. Con una lunghissima
esperienza professionale nel campo dell’assistenza ai bambini, ha
intrapreso uno studio dei processi d’identificazione di neonati. Per
anni ha visitato cliniche private e ospedali pubblici, ha scritto
lettere alle autorità, ha parlato con la polizia giudiziaria ed è
perfino andato alla sede delle Nazioni Unite a New York per denunciare
alcune pratiche vergognose. “Quello che vedevo mi faceva vergognare. In
posti come il reparto di maternità dell’ospedale di la Paz, dove
nascevano cento bambini al giorno, ho visto i braccialetti che si
mettono ai neonati sparsi per terra. E la cosa peggiore era che al
personale non importava niente”, denuncia Garrido-Lestache.
Nessuna risposta
Qualche
anno fa il pediatra ha scritto un libro, La identidad del ser humano,
che non solo fornisce informazioni sul rapimento e lo scambio di neonati
in Spagna, ma propone una soluzione alla tratta di persone e alla
violazione d’identità da parte dei regimi totalitari. Il pediatra si è
documentato a lungo, analizzando modelli di filiazione infallibili. Uno
di questi è un libretto in cui la madre e il neonato lasciano l’impronta
indelebile delle falangi al momento del parto. “Dal 2000 è obbligatorio
negli ospedali spagnoli, ma non si fa quasi mai e, se si fa, si fa
male, perché non c’è stato un piano specifico di formazione”, denuncia.
Oggi si prende solo l’impronta della pianta del piede del bambino su un
foglio giallo. “Un dato che non serve a niente”, aggiunge il pediatra.
Qualche mese fa Garrido-Lestache ha scritto una lettera di protesta alla
presidente della comunità autonoma di Madrid, Cristina Cifuentes. La
risposta è stata desolante. “mi ha detto che qui tutto viene fatto bene,
punto e basta”, racconta GarridoLestache indignato. Secondo lui la
sottrazione dei neonati e le adozioni illegali sono uno scandalo di
proporzioni eccezionali. “È stato un business a cui hanno partecipato
medici, infermiere e suore. Lo vedevo con i miei occhi, l’ho denunciato
durante il franchismo e anche dopo il ritorno della democrazia”, dice.
Per migliaia di persone è una catastrofe personale inspiegabile. Per
questo il pediatra porta avanti il suo impegno per rendere la carta
d’identità obbligatoria per i bambini anche in Spagna, come accade in
quasi tutti i paesi che hanno firmato la Dichiarazione dei diritti del
fanciullo. E per le vittime che non vogliono smettere di cercare, per
avere le prove che gli permettano di riscrivere la loro storia: chi sono
in realtà, e perché è successo a loro.
Da sapere
L’igiene della razza
Il
regime di Francisco Franco, che guidò la Spagna dalla fine della guerra
civile nel 1939 alla morte del dittatore nel 1975, sosteneva
un’ideologia della purificazione razziale improntata a quella della
Germania nazista e basata soprattutto sulle idee dello psichiatra
militare Antonio Vallejo-Nájera. Secondo le sue teorie eugenetiche, i
comunisti erano “individui mentalmente inferiori e pericolosi per la
loro malvagità intrinseca”. L’unico modo per evitare la degenerazione
della razza spagnola era quindi sottrarre i figli ai dissidenti e farli
crescere in ambienti “sani”. A partire dagli anni sessanta la
sottrazione dei neonati perse parte delle sue motivazioni ideologiche e
si trasformò in un traffico di adozioni a scopo di lucro.