internazionale 11.3.18
L’anima sacra di Pechino
Di Ian Johnson, The New York Times, Stati Uniti
Dopo
gli anni della rivoluzione culturale, il governo sta recuperando i
simboli più antichi della metropoli cinese. La trasformazione della
città raccontata da un premio Pulitzer
Quando sono
stato a Pechino per la prima volta, nel 1984, la città aveva l’aria
polverosa e dimenticata di un’antica capitale ricca di templi e palazzi
che Mao aveva giurato – evidentemente con successo – di trasformare in
una distesa di fabbriche e ciminiere. La fuliggine penetrava dai
davanzali delle finestre e nei vestiti. La gente girava per le vecchie
strade ventose su semplici biciclette d’acciaio e autobus che puzzavano
di nafta. Allora, come oggi, era diicile immaginarsi questa città
tentacolare come il cuore sacro dell’universo spirituale della Cina. Ma
per gran parte della sua storia, Pechino è stata esattamente questo. Non
era una città santa come Gerusa
lemme, la Mecca o Varanasi, mete
di pellegrinaggio dove la terra stessa è sacra. Le strade, le mura, i
templi, i giardini e i vicoli della capitale cinese andavano a comporre
un arazzo finemente intrecciato che rifletteva le costellazioni celesti,
le forze geomantiche della terra e uno strato invisibile di montagne
sacre e divinità. era una vera e propria opera d’arte, simbolo del
sistema religioso e politico che ha retto la Cina per millenni. era
l’incarnazione del sistema di valori e credenze del paese. La cosmologia
di Pechino cominciò a cambiare nel novecento, soprattutto dopo che nel
1949 il Partito comunista arrivò al potere. Le grandi mura della città e
molti dei suoi templi e dei vicoli, gli hutong, furono distrutti per
lasciare spazio ai nuovi ideali di una società atea e industriale. Con
gli anni ottanta arrivarono le riforme economiche e uno sviluppo
immobiliare incontrollato, che cancellò quasi completamente quel che
restava della città vecchia. Andarono persi non solo una città medievale
di 64 chilometri quadrati, ma anche uno stile di vita, al pari delle
culture locali delle altre grandi città del mondo spazzate via dalla
nostra epoca inquieta. Nel corso degli anni ho osservato alcune di
queste trasformazioni, prima da studente, poi come giornalista e oggi
come scrittore e insegnante. Come molte persone innamorate di questa
città, ero demoralizzato dalla perdita della cultura di Pechino. Negli
ultimi anni, però, ho cominciato a pensare che forse mi sbagliavo. La
cultura di Pechino non è morta, sta rinascendo in alcuni angoli della
città e nei modi più inaspettati. Pechino non è la stessa del passato,
ma è ancora una città vivace e vera, con uno stile di vita e un sistema
di valori che rispecchiano i vecchi tempi. Occasioni speciali Adesso che
ci vivo, questo ritorno al passato è evidente soprattutto in due
luoghi. Uno è il quartiere del tempio del sole, nella parte orientale
della città, l’altro è un tempio taoista nella parte occidentale.
sembravano luoghi dimenticati e irrilevanti, ma negli ultimi anni hanno
lentamente riacquistato importanza in una Cina postcomunista alla
ricerca di nuovi valori e princìpi. Per quasi tutto il tempo che sono
stato a Pechino, ho vissuto a poche centinaia di metri dal tempio del
sole. Al centro di un parco di venti ettari nel quartiere diplomatico di
Jianguomenwai, il tempio fu costruito nel 1530 ed era uno dei quattro
santuari dove l’imperatore celebrava il culto dei principali corpi
celesti. Gli altri sono dedicati alla Luna, alla Terra e al cielo. Il
tempio del Cielo è sicuramente il più famoso, ma il tempio del sole è
forse ancora più rivelatore, perché è meno appariscente. Come ogni luogo
famoso a Pechino, il tempio fu gravemente danneggiato durante la
rivoluzione culturale, tra il 1966 e il 1976, un periodo di violenze e
radicalismo in cui furono vandalizzati tutti i luoghi di culto e molti
simboli del passato. L’altare di pietra principale, un disco piatto di
sei metri di diametro sollevato di circa mezzo metro da terra, fu fatto a
pezzi dai fanatici di Mao. Quando poi furono abbattute le mura della
città il parco diventò una discarica di detriti e calcinacci. ho
scoperto il parco otto anni dopo la ine di quel periodo drammatico. Dal
1984 al 1985 ho studiato lingua e letteratura cinese all’università di
Pechino e venivo in bicicletta da queste parti perché il quartiere era
diventato il principale polo diplomatico del paese ed era uno dei pochi
posti in cui gli occidentali che avevano nostalgia di casa potevano
comprare cioccolata e cartoline. Nell’era post Mao la Cina si stava
aprendo al mondo e cominciava a costruire ambasciate e nuovi ediici
residenziali per ospitare diplomatici e giornalisti stranieri. Il
quartiere era diventato uno snodo internazionale, con un Negozio
dell’amicizia, un Club internazionale e un albergo in stile occidentale
che aveva una delle poche panetterie della città. Venivo per i
croissant, ma poi rimanevo per ammirare le strade alberate e il tempio
del sole. Mi ricordo che passeggiavo nel parco e l’altare era stato
appena ricostruito, ma i palazzi intorno erano talmente fatiscenti che
la zona sembrava abbando nata. ogni tanto ci veniva qualcuno per far
volare gli aquiloni dalle antiche balaustre di pietra, incrinate e
scolorite come vecchie ossa. I igli dei diplomatici correvano intorno al
basso muro di cinta dell’altare per provarne l’acustica: se sussurravi
vicino al muro ti sentivano a quattro metri di distanza. Nel 1994 sono
tornato in Cina per lavoro: ho fatto per sette anni il corrispondente,
prima per il Baltimore sun e poi per il wall street Journal. sono andato
ad abitare in uno dei complessi residenziali riservati ai diplomatici e
il quartiere è diventato la mia casa. sono tornato al tempio del sole.
Bisognava pagare per entrare, e il parco era relativamente vuoto,
specialmente in quella che era diventata una città afollata e vivace.
L’ingresso costava poco, ma la Cina era ancora relativamente povera e la
gente non aveva voglia di passare il tempo a fare ginnastica. si
lavorava, si tornava a casa e si riposava. I parchi erano per le
occasioni speciali. Percorrendo i due chilometri scarsi del sentiero
perimetrale s’incontravano poche persone, di solito diplomatici delle
ambasciate vicine o spioni che si guardavano in giro. Il tempio del sole
non era solo deserto, aveva anche un aspetto spoglio. era l’epoca in
cui nei parchi cinesi non c’era l’erba ma solo la terra dura, compatta e
arida di Pechino che i giardinieri rastrellavano ogni quattro giorni.
L’effetto era strano, ma dava al parco una bellezza austera che creava
una bizzarra sintonia con gli alberi di ginkgo e i cachi lungo i
sentieri. Quando sono tornato in Cina nel 2009 per fare lo scrittore e
l’insegnante tutto era cambiato. La Cina veniva da trent’anni di grande
crescita economica e le casse dello stato erano strapiene. oltre che per
le compagnie aeree, le olimpiadi e i treni ad alta velocità, i soldi
venivano spesi per i parchi e il verde pubblico. oggi nel tempio del
sole ci sono prati, nuovi alberi, aiuole di tulipani in primavera,
gerani in estate e canne di bambù talmente estranee a questa regione
fredda della Cina che ogni volta che viene l’autunno bisogna legarle
insieme per proteggerle dal gelo. C’è ancora di meglio, o di peggio, a
seconda del proprio grado di egoismo: le autorità hanno abolito
l’ingresso a pagamento. Improvvisamente il parco è diventato parte della
città, accolto a braccia aperte da residenti ansiosi di fare attività
all’aperto. A diferenza di dieci anni fa, oggi molti cinesi vogliono
fare ginnastica e il parco si è riempito di persone che fanno jogging in
tute di lycra nera sfrecciando davanti ai lavoratori dei ristoranti con
i grembiuli sporchi di grasso. Questo bisogno di spazio si scontra con
un’altra tendenza in atto Cina: la cessione delle aree pubbliche ai
ricchi. Mentre le piste ciclabili di Pechino diventavano corsie per le
auto e i marciapiedi venivano invasi da motorini che consegnano pasti
caldi alla media e alta borghesia, un’enorme fetta del tempio del sole è
stata sacriicata per una minoranza facoltosa. Dagli anni duemila ho
calcolato che il 15 per cento della supericie del parco è stato dato in
aitto a ristoranti di fascia relativamente alta, a un club esclusivo, a
una birreria tedesca, a una scuola di yoga, a uno strano negozio di
mobili antichi sempre vuoto (e che sembra una copertura per qualche
afare losco), a un ristorante russo e a una serie di negozi che vendono
merci all’ingrosso per i commercianti russi: tutte attività che non
c’entrano niente con l’antico e glorioso parco. Visto che buona parte
del parco è occupata dalle attività commerciali, il tempio del sole si
riduce all’altare ricostruito al centro, a cui si aggiungono una
collinetta, un laghetto e il sentiero principale. Da quando è stato
abolito l’ingresso a pagamento, il sentiero è talmente afollato che a
volte sembra una ruota del criceto impazzita su cui si sale e scende a
proprio rischio. eppure, nonostante tutto, amo ancora il parco. seguendo
il lusso in senso antiorario intravedo i grattacieli tra i salici
piangenti, i maestri di tai chi in riva al lago e i vecchi pini
sopravvissuti ai tumulti. sento perino il cigolio del pacchiano luna
park per bambini con i suoi trenini elettrici mezzi rotti. Ma il parco
non è solo una inestra sulla vita quotidiana della gente. Il governo non
perde occasione per legittimarsi. Le autorità hanno aperto un piccolo
museo che espone delle riproduzioni dei pezzi dell’altare distrutto come
se fossero vere, e hanno piazzato una recinzione d’acciaio intorno
all’altare per far vedere quanto ci tengono alla tutela del patrimonio
culturale. Davanti al tempio c’è un pannello informativo che ne racconta
la storia senza mai citare le perdite dell’epoca di Mao. Lo scopo è
rassicurare i cinesi: il Partito comunista, che una volta attaccava la
tradizione, adesso ne è il custode. Ultimamente questo messaggio è stato
rinforzato da una serie di manifesti di propaganda che esaltano i
valori della famiglia tradizionale. si parla di famosi pensatori di
millenni fa, con tanto di spiegazione sommaria delle loro opere.
Apprendiamo che è virtuoso ubbidire e ascoltare i genitori, oltre che
prendersi cura di loro: sono le nuove preoccupazioni di un governo che
per decenni, con le sue severe misure di pianiicazione familiare, è
stato il principale responsabile dell’invecchiamento della popolazione e
della ribellione di una gioventù che trascura le generazioni
precedenti. Valori tradizionali ogni tanto, con un certo imbarazzo, lo
stato comunista ricrea perino gli antichi rituali. A marzo alcuni miei
amici, pensionati che fanno i cantanti e i musicisti dilettanti, sono
stati ingaggiati come comparse per la cerimonia dell’equinozio di
primavera. In trenta hanno indossato le tonache e i cappelli dell’epoca
della dinastia Qing e hanno marciato solennemente verso l’altare.
Accompagnati da una piccola orchestra di musicisti che suonavano gong,
piatti e timpani, si sono avvicinati a una tavola piena di inti animali
morti lasciati in sacriicio. Un ragazzo vestito da imperatore si è
inchinato e ha presentato le oferte rituali, il tutto sotto la rigida
supervisione di un gruppo di esperti dell’uicio locale degli afari
culturali che avevano letto alcune ricostruzioni delle antiche pratiche.
Più tardi sui social network hanno cominciato a circolare dei video
della cerimonia, rafforzando l’idea che il passato sta tornando.
recuperare i valori tradizionali è uno dei principali obiettivi del
leader cinese Xi Jinping sul fronte interno, eppure l’idea stessa di un
ritorno al passato sembrava impossibile fino agli anni ottanta. essendo
cresciuto in una famiglia molto religiosa, ero curioso di sapere in cosa
credevano i cinesi. Non mi aspettavo né desideravo che i cinesi
condividessero i miei valori, ma mi immaginavo che credessero in
qualcosa. Mi sbagliavo. Un pomeriggio d’autunno ho pedalato per un’ora
fino al tempio della Nuvola bianca, il centro nazionale del taoismo, la
religione locale della Cina. Il taoismo nasce nel secondo secolo da una
combinazione di credi religiosi popolari e insegnamenti di ilosoi come
Laotzu e Changtzu. Il tempio della Nuvola bianca risale al tredicesimo
secolo ed è la sede dell’associazione nazionale taoista. Il tempio è
magniico, ma sembra costruito in modo incoerente. L’asse principale di
cinque sale dedicate a varie divinità è scampato in gran parte alle
devastazioni della rivoluzione culturale. Il problema è che mancano i
fedeli. Le sale e i cortili ricordano i luoghi simbolici di culto degli
ex paesi comunisti, più simili a musei che a centri funzionanti di una
pratica religiosa viva. Circondato da palazzine residenziali di epoca
comunista e da una centrale elettrica puzzolente, l’ediicio è come il
tempio del sole, un relitto di un’era passata. Negli ultimi dieci anni,
però, i cinesi hanno cominciato a cercare un signiicato nella loro vita.
Dopo aver abbracciato per decenni ideologie straniere come il fascismo,
il comunismo e in neoliberismo, si chiedono cosa resta della loro
cultura. I templi come quello della Nuvola bianca e le pratiche
religiose come il taoismo sono una parziale risposta a questi
interrogativi. e così, giustamente, il governo ha investito sulle
religioni come il taoismo (e anche sul buddismo e sulle religioni
popolari, meno sul cristianesimo e l’islam). Il tempio della Nuvola
bianca sta cercando di recuperare parte del patrimonio della medicina
tradizionale cinese aprendo una clinica in un’ala appena ristrutturata
dell’ediicio. Lo stato ha fondato anche una nuova accademia taoista per
l’istruzione di nuovi sacerdoti. In tutta la Cina c’è un ritorno del
taoismo. Lo si capisce attraversando il tempio. Il biglietto d’ingresso
di cinque euro è proibitivo per molti visitatori, ma il tempio è
comunque pieno di sacerdoti che vanno ai seminari. su i due lati
dell’asse principale ci sono nuovi cortili con templi dedicati a varie
divinità.
Fuori controllo
Per vedere che tipo di prodotti
taoisti la gente compra oggi per la casa, vale la pena di visitare il
principale negozio di souvenir del tempio. Dopo l’entrata principale ce
n’è uno pieno di prodotti insoliti come orologi da muro decorati con gli
otto trigrammi e il simbolo del tai chi e poi scettri, spade e
addirittura tonache taoiste. Vende anche litograie di alcune stele dei
templi, tra cui strane rappresentazioni di corpi umani che illustrano i
canali energetici, o meridiani, della medicina cinese. rispetto alla
città sacra del passato, la Pechino di oggi è un’area metropolitana
vagamente fuori controllo con strade ad alto scorrimento, grandi
condomini, treni sotterranei e periferie. Il vecchio arazzo cosmologico è
stato fatto a brandelli. Ma è ancora una città dove i luoghi hanno un
signiicato. Lo storico dell’urbanistica Jefrey F. Meyer, che ha scritto
The dragons of Tiananmen: Beijing as a sacred city (I draghi di
Tiananmen: Pechino come città sacra), osserva che le capitali cinesi
rispecchiano sempre l’ideologia del governo. Questo, ovviamente, è vero
per tutte le capitali, e Meyer ha scritto un libro anche su washington e
l’idea che sta dietro ai suoi monumenti. Ma a diferenza delle società
aperte, che sono più caotiche e dove il messaggio uiciale spesso si
perde o quantomeno è attenuato dalle voci contrastanti, Pechino è ancora
la capitale di uno stato autoritario. Il messaggio di Pechino è ancora
il messaggio dello stato, forse in modo imperfetto ma comunque visibile.
Uno stato che una volta disprezzava la tradizione, e che invece oggi la
difende. Così la città cambia, non per tornare al passato, ma per
rilanciare e mescolare insieme una serie di idee del passato: la pietà
iliale, il rispetto per l’autorità, le religioni tradizionali, e anche i
privilegi dei ricchi. Come dice Meyer, allora come oggi, “Pechino era
un’idea prima di essere una città”.
Ian Johnson è un
giornalista e scrittore. Nel 2001 ha vinto il premio Pulitzer per i suoi
reportage sulla repressione del Falun Gong, una disciplina spirituale
ferocemente osteggiata dal governo cinese.