lunedì 12 marzo 2018

internazionale 11.3.18
L’anima sacra di Pechino
Di Ian Johnson, The New York Times, Stati Uniti
Dopo gli anni della rivoluzione culturale, il governo sta recuperando i simboli più antichi della metropoli cinese. La trasformazione della città raccontata da un premio Pulitzer


Quando sono stato a Pechino per la prima volta, nel 1984, la città aveva l’aria polverosa e dimenticata di un’antica capitale ricca di templi e palazzi che Mao aveva giurato – evidentemente con successo – di trasformare in una distesa di fabbriche e ciminiere. La fuliggine penetrava dai davanzali delle finestre e nei vestiti. La gente girava per le vecchie strade ventose su semplici biciclette d’acciaio e autobus che puzzavano di nafta. Allora, come oggi, era diicile immaginarsi questa città tentacolare come il cuore sacro dell’universo spirituale della Cina. Ma per gran parte della sua storia, Pechino è stata esattamente questo. Non era una città santa come Gerusa
lemme, la Mecca o Varanasi, mete di pellegrinaggio dove la terra stessa è sacra. Le strade, le mura, i templi, i giardini e i vicoli della capitale cinese andavano a comporre un arazzo finemente intrecciato che rifletteva le costellazioni celesti, le forze geomantiche della terra e uno strato invisibile di montagne sacre e divinità. era una vera e propria opera d’arte, simbolo del sistema religioso e politico che ha retto la Cina per millenni. era l’incarnazione del sistema di valori e credenze del paese. La cosmologia di Pechino cominciò a cambiare nel novecento, soprattutto dopo che nel 1949 il Partito comunista arrivò al potere. Le grandi mura della città e molti dei suoi templi e dei vicoli, gli hutong, furono distrutti per lasciare spazio ai nuovi ideali di una società atea e industriale. Con gli anni ottanta arrivarono le riforme economiche e uno sviluppo immobiliare incontrollato, che cancellò quasi completamente quel che restava della città vecchia. Andarono persi non solo una città medievale di 64 chilometri quadrati, ma anche uno stile di vita, al pari delle culture locali delle altre grandi città del mondo spazzate via dalla nostra epoca inquieta. Nel corso degli anni ho osservato alcune di queste trasformazioni, prima da studente, poi come giornalista e oggi come scrittore e insegnante. Come molte persone innamorate di questa città, ero demoralizzato dalla perdita della cultura di Pechino. Negli ultimi anni, però, ho cominciato a pensare che forse mi sbagliavo. La cultura di Pechino non è morta, sta rinascendo in alcuni angoli della città e nei modi più inaspettati. Pechino non è la stessa del passato, ma è ancora una città vivace e vera, con uno stile di vita e un sistema di valori che rispecchiano i vecchi tempi. Occasioni speciali Adesso che ci vivo, questo ritorno al passato è evidente soprattutto in due luoghi. Uno è il quartiere del tempio del sole, nella parte orientale della città, l’altro è un tempio taoista nella parte occidentale. sembravano luoghi dimenticati e irrilevanti, ma negli ultimi anni hanno lentamente riacquistato importanza in una Cina postcomunista alla ricerca di nuovi valori e princìpi. Per quasi tutto il tempo che sono stato a Pechino, ho vissuto a poche centinaia di metri dal tempio del sole. Al centro di un parco di venti ettari nel quartiere diplomatico di Jianguomenwai, il tempio fu costruito nel 1530 ed era uno dei quattro santuari dove l’imperatore celebrava il culto dei principali corpi celesti. Gli altri sono dedicati alla Luna, alla Terra e al cielo. Il tempio del Cielo è sicuramente il più famoso, ma il tempio del sole è forse ancora più rivelatore, perché è meno appariscente. Come ogni luogo famoso a Pechino, il tempio fu gravemente danneggiato durante la rivoluzione culturale, tra il 1966 e il 1976, un periodo di violenze e radicalismo in cui furono vandalizzati tutti i luoghi di culto e molti simboli del passato. L’altare di pietra principale, un disco piatto di sei metri di diametro sollevato di circa mezzo metro da terra, fu fatto a pezzi dai fanatici di Mao. Quando poi furono abbattute le mura della città il parco diventò una discarica di detriti e calcinacci. ho scoperto il parco otto anni dopo la ine di quel periodo drammatico. Dal 1984 al 1985 ho studiato lingua e letteratura cinese all’università di Pechino e venivo in bicicletta da queste parti perché il quartiere era diventato il principale polo diplomatico del paese ed era uno dei pochi posti in cui gli occidentali che avevano nostalgia di casa potevano comprare cioccolata e cartoline. Nell’era post Mao la Cina si stava aprendo al mondo e cominciava a costruire ambasciate e nuovi ediici residenziali per ospitare diplomatici e giornalisti stranieri. Il quartiere era diventato uno snodo internazionale, con un Negozio dell’amicizia, un Club internazionale e un albergo in stile occidentale che aveva una delle poche panetterie della città. Venivo per i croissant, ma poi rimanevo per ammirare le strade alberate e il tempio del sole. Mi ricordo che passeggiavo nel parco e l’altare era stato appena ricostruito, ma i palazzi intorno erano talmente fatiscenti che la zona sembrava abbando nata. ogni tanto ci veniva qualcuno per far volare gli aquiloni dalle antiche balaustre di pietra, incrinate e scolorite come vecchie ossa. I igli dei diplomatici correvano intorno al basso muro di cinta dell’altare per provarne l’acustica: se sussurravi vicino al muro ti sentivano a quattro metri di distanza. Nel 1994 sono tornato in Cina per lavoro: ho fatto per sette anni il corrispondente, prima per il Baltimore sun e poi per il wall street Journal. sono andato ad abitare in uno dei complessi residenziali riservati ai diplomatici e il quartiere è diventato la mia casa. sono tornato al tempio del sole. Bisognava pagare per entrare, e il parco era relativamente vuoto, specialmente in quella che era diventata una città afollata e vivace. L’ingresso costava poco, ma la Cina era ancora relativamente povera e la gente non aveva voglia di passare il tempo a fare ginnastica. si lavorava, si tornava a casa e si riposava. I parchi erano per le occasioni speciali. Percorrendo i due chilometri scarsi del sentiero perimetrale s’incontravano poche persone, di solito diplomatici delle ambasciate vicine o spioni che si guardavano in giro. Il tempio del sole non era solo deserto, aveva anche un aspetto spoglio. era l’epoca in cui nei parchi cinesi non c’era l’erba ma solo la terra dura, compatta e arida di Pechino che i giardinieri rastrellavano ogni quattro giorni. L’effetto era strano, ma dava al parco una bellezza austera che creava una bizzarra sintonia con gli alberi di ginkgo e i cachi lungo i sentieri. Quando sono tornato in Cina nel 2009 per fare lo scrittore e l’insegnante tutto era cambiato. La Cina veniva da trent’anni di grande crescita economica e le casse dello stato erano strapiene. oltre che per le compagnie aeree, le olimpiadi e i treni ad alta velocità, i soldi venivano spesi per i parchi e il verde pubblico. oggi nel tempio del sole ci sono prati, nuovi alberi, aiuole di tulipani in primavera, gerani in estate e canne di bambù talmente estranee a questa regione fredda della Cina che ogni volta che viene l’autunno bisogna legarle insieme per proteggerle dal gelo. C’è ancora di meglio, o di peggio, a seconda del proprio grado di egoismo: le autorità hanno abolito l’ingresso a pagamento. Improvvisamente il parco è diventato parte della città, accolto a braccia aperte da residenti ansiosi di fare attività all’aperto. A diferenza di dieci anni fa, oggi molti cinesi vogliono fare ginnastica e il parco si è riempito di persone che fanno jogging in tute di lycra nera sfrecciando davanti ai lavoratori dei ristoranti con i grembiuli sporchi di grasso. Questo bisogno di spazio si scontra con un’altra tendenza in atto Cina: la cessione delle aree pubbliche ai ricchi. Mentre le piste ciclabili di Pechino diventavano corsie per le auto e i marciapiedi venivano invasi da motorini che consegnano pasti caldi alla media e alta borghesia, un’enorme fetta del tempio del sole è stata sacriicata per una minoranza facoltosa. Dagli anni duemila ho calcolato che il 15 per cento della supericie del parco è stato dato in aitto a ristoranti di fascia relativamente alta, a un club esclusivo, a una birreria tedesca, a una scuola di yoga, a uno strano negozio di mobili antichi sempre vuoto (e che sembra una copertura per qualche afare losco), a un ristorante russo e a una serie di negozi che vendono merci all’ingrosso per i commercianti russi: tutte attività che non c’entrano niente con l’antico e glorioso parco. Visto che buona parte del parco è occupata dalle attività commerciali, il tempio del sole si riduce all’altare ricostruito al centro, a cui si aggiungono una collinetta, un laghetto e il sentiero principale. Da quando è stato abolito l’ingresso a pagamento, il sentiero è talmente afollato che a volte sembra una ruota del criceto impazzita su cui si sale e scende a proprio rischio. eppure, nonostante tutto, amo ancora il parco. seguendo il lusso in senso antiorario intravedo i grattacieli tra i salici piangenti, i maestri di tai chi in riva al lago e i vecchi pini sopravvissuti ai tumulti. sento perino il cigolio del pacchiano luna park per bambini con i suoi trenini elettrici mezzi rotti. Ma il parco non è solo una inestra sulla vita quotidiana della gente. Il governo non perde occasione per legittimarsi. Le autorità hanno aperto un piccolo museo che espone delle riproduzioni dei pezzi dell’altare distrutto come se fossero vere, e hanno piazzato una recinzione d’acciaio intorno all’altare per far vedere quanto ci tengono alla tutela del patrimonio culturale. Davanti al tempio c’è un pannello informativo che ne racconta la storia senza mai citare le perdite dell’epoca di Mao. Lo scopo è rassicurare i cinesi: il Partito comunista, che una volta attaccava la tradizione, adesso ne è il custode. Ultimamente questo messaggio è stato rinforzato da una serie di manifesti di propaganda che esaltano i valori della famiglia tradizionale. si parla di famosi pensatori di millenni fa, con tanto di spiegazione sommaria delle loro opere. Apprendiamo che è virtuoso ubbidire e ascoltare i genitori, oltre che prendersi cura di loro: sono le nuove preoccupazioni di un governo che per decenni, con le sue severe misure di pianiicazione familiare, è stato il principale responsabile dell’invecchiamento della popolazione e della ribellione di una gioventù che trascura le generazioni precedenti. Valori tradizionali ogni tanto, con un certo imbarazzo, lo stato comunista ricrea perino gli antichi rituali. A marzo alcuni miei amici, pensionati che fanno i cantanti e i musicisti dilettanti, sono stati ingaggiati come comparse per la cerimonia dell’equinozio di primavera. In trenta hanno indossato le tonache e i cappelli dell’epoca della dinastia Qing e hanno marciato solennemente verso l’altare. Accompagnati da una piccola orchestra di musicisti che suonavano gong, piatti e timpani, si sono avvicinati a una tavola piena di inti animali morti lasciati in sacriicio. Un ragazzo vestito da imperatore si è inchinato e ha presentato le oferte rituali, il tutto sotto la rigida supervisione di un gruppo di esperti dell’uicio locale degli afari culturali che avevano letto alcune ricostruzioni delle antiche pratiche. Più tardi sui social network hanno cominciato a circolare dei video della cerimonia, rafforzando l’idea che il passato sta tornando. recuperare i valori tradizionali è uno dei principali obiettivi del leader cinese Xi Jinping sul fronte interno, eppure l’idea stessa di un ritorno al passato sembrava impossibile fino agli anni ottanta. essendo cresciuto in una famiglia molto religiosa, ero curioso di sapere in cosa credevano i cinesi. Non mi aspettavo né desideravo che i cinesi condividessero i miei valori, ma mi immaginavo che credessero in qualcosa. Mi sbagliavo. Un pomeriggio d’autunno ho pedalato per un’ora fino al tempio della Nuvola bianca, il centro nazionale del taoismo, la religione locale della Cina. Il taoismo nasce nel secondo secolo da una combinazione di credi religiosi popolari e insegnamenti di ilosoi come Laotzu e Changtzu. Il tempio della Nuvola bianca risale al tredicesimo secolo ed è la sede dell’associazione nazionale taoista. Il tempio è magniico, ma sembra costruito in modo incoerente. L’asse principale di cinque sale dedicate a varie divinità è scampato in gran parte alle devastazioni della rivoluzione culturale. Il problema è che mancano i fedeli. Le sale e i cortili ricordano i luoghi simbolici di culto degli ex paesi comunisti, più simili a musei che a centri funzionanti di una pratica religiosa viva. Circondato da palazzine residenziali di epoca comunista e da una centrale elettrica puzzolente, l’ediicio è come il tempio del sole, un relitto di un’era passata. Negli ultimi dieci anni, però, i cinesi hanno cominciato a cercare un signiicato nella loro vita. Dopo aver abbracciato per decenni ideologie straniere come il fascismo, il comunismo e in neoliberismo, si chiedono cosa resta della loro cultura. I templi come quello della Nuvola bianca e le pratiche religiose come il taoismo sono una parziale risposta a questi interrogativi. e così, giustamente, il governo ha investito sulle religioni come il taoismo (e anche sul buddismo e sulle religioni popolari, meno sul cristianesimo e l’islam). Il tempio della Nuvola bianca sta cercando di recuperare parte del patrimonio della medicina tradizionale cinese aprendo una clinica in un’ala appena ristrutturata dell’ediicio. Lo stato ha fondato anche una nuova accademia taoista per l’istruzione di nuovi sacerdoti. In tutta la Cina c’è un ritorno del taoismo. Lo si capisce attraversando il tempio. Il biglietto d’ingresso di cinque euro è proibitivo per molti visitatori, ma il tempio è comunque pieno di sacerdoti che vanno ai seminari. su i due lati dell’asse principale ci sono nuovi cortili con templi dedicati a varie divinità.
Fuori controllo
Per vedere che tipo di prodotti taoisti la gente compra oggi per la casa, vale la pena di visitare il principale negozio di souvenir del tempio. Dopo l’entrata principale ce n’è uno pieno di prodotti insoliti come orologi da muro decorati con gli otto trigrammi e il simbolo del tai chi e poi scettri, spade e addirittura tonache taoiste. Vende anche litograie di alcune stele dei templi, tra cui strane rappresentazioni di corpi umani che illustrano i canali energetici, o meridiani, della medicina cinese. rispetto alla città sacra del passato, la Pechino di oggi è un’area metropolitana vagamente fuori controllo con strade ad alto scorrimento, grandi condomini, treni sotterranei e periferie. Il vecchio arazzo cosmologico è stato fatto a brandelli. Ma è ancora una città dove i luoghi hanno un signiicato. Lo storico dell’urbanistica Jefrey F. Meyer, che ha scritto The dragons of Tiananmen: Beijing as a sacred city (I draghi di Tiananmen: Pechino come città sacra), osserva che le capitali cinesi rispecchiano sempre l’ideologia del governo. Questo, ovviamente, è vero per tutte le capitali, e Meyer ha scritto un libro anche su washington e l’idea che sta dietro ai suoi monumenti. Ma a diferenza delle società aperte, che sono più caotiche e dove il messaggio uiciale spesso si perde o quantomeno è attenuato dalle voci contrastanti, Pechino è ancora la capitale di uno stato autoritario. Il messaggio di Pechino è ancora il messaggio dello stato, forse in modo imperfetto ma comunque visibile. Uno stato che una volta disprezzava la tradizione, e che invece oggi la difende. Così la città cambia, non per tornare al passato, ma per rilanciare e mescolare insieme una serie di idee del passato: la pietà iliale, il rispetto per l’autorità, le religioni tradizionali, e anche i privilegi dei ricchi. Come dice Meyer, allora come oggi, “Pechino era un’idea prima di essere una città”.

Ian Johnson è un giornalista e scrittore. Nel 2001 ha vinto il premio Pulitzer per i suoi reportage sulla repressione del Falun Gong, una disciplina spirituale ferocemente osteggiata dal governo cinese.