internazionale 11.3.18
Le opinioni
L’autoritarismo della Cina non ci deve sorprendere
Di Pankaj Mishra
In
una stagione di sconvolgimenti politici, il fatto che Xi Jinping stia
acquistando un potere assoluto è riuscito a stupire molti esperti di
Cina. L’Economist ha dichiarato con enfasi che “la scommessa sulla Cina
fatta venticinque anni fa dall’occidente è fallita”. Invece di avanzare
verso la democrazia, secondo questa teoria, Pechino sta scivolando
ancora di più verso l’autoritarismo. Vale la pena di chiedersi, se non
altro per evitare altri shock del genere in futuro, perché “l’occidente”
abbia deciso di scommettere sulla Cina. La speranza che la Cina si
potesse integrare pacificamente in un ordine globale modellato
dall’occidente, cambiando radicalmente durante questo processo, è sempre
stata un’illusione. In un articolo del 1997 sul passaggio di Hong Kong
dal Regno Unito alla Cina, l’opinionista del New York Times Nicholas
Kristof si chiese se Pechino non stesse ereditando un “colossale cavallo
di Troia” che in seguito avrebbe fatto cadere il suo regime. Nel
gennaio del 2013 Kristof prevedeva che Xi Jinping avrebbe avviato grandi
riforme politiche ed economiche, tra le quali la rimozione del corpo di
Mao Zedong dal suo mausoleo in piazza Tiananmen. Non erano solo i
giornalisti a mostrare una fede quasi religiosa nella speranza che la
Cina potesse redimersi con la democrazia e il libero mercato. Per
convincere l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) a far entrare
la Cina nelle sue ile, nel 1997 Bill Clinton dichiarò che la
liberalizzazione del sistema politico cinese era “inevitabile come
inevitabile era stata la caduta del muro di Berlino”. Chi ha sbagliato
opinione su Xi Jinping in maniera così evidente almeno può sostenere che
non si sapeva molto su di lui prima che diventasse leader del paese. Ma
ci sono meno scuse per chi non ha capito la semplice lezione che viene
dalla storia della Cina contemporanea: tutti i regimi cinesi, dal crollo
della monarchia Qing nel 1911, hanno consolidato la sovranità nazionale
per poi inseguire in modo febbrile la ricchezza e il potere con tutti i
mezzi necessari. Non è mai stato un segreto che il Partito comunista
cinese (Pcc) nacque dall’evento politico fondante del 1919, il movimento
studentesco del 4 maggio. Il Pcc si nutrì, alimentandolo a sua volta,
di un sentimento popolare diffuso: la Cina aveva subìto un’ingiustizia
(con il trattato di Versailles, alla fine della prima guerra mondiale),
era stata disonorata dalle potenze occidentali e doveva ricostruire la
sua autorevolezza. L’antioccidentalismo di Mao poteva essere considerato
la strategia opportunistica di un megalomane. Ma anche il suo
successore, il riformista Deng Xiaoping, insisté su questo e fece
mettere manifesti in tutto il paese con la sua immagine e la frase: “Il
nostro paese deve svilupparsi. Se non ci svilupperemo, verremo
umiliati”. La Cina ha raggiunto lo sviluppo, al punto che oggi si pensa
sia lei a prevaricare sulle aziende e i governi stranieri piuttosto che
il contrario. In questo la Cina non fa che confermare la stessa logica
geopolitica di cui un tempo era la vittima. Quello che dovrebbe
sorprenderci ancora di meno è il crescente autoritarismo della Cina, il
fatto che lo sviluppo economico non sia stato accompagnato dall’avvento
della democrazia. Come scriveva negli anni cinquanta il filosofo
francese Raymond Aron, “nessun paese europeo sotto un regime
rappresentativo e democratico è mai passato dalla fase di crescita
economica che stanno vivendo oggi l’India e la Cina”. In realtà
all’inizio del novecento in paesi in ascesa come il Giappone e la
Germania la democrazia fu stroncata dai gravi problemi dello sviluppo
moderno, peggiorati dalle successive crisi economiche globali. L’arrivo
di masse sradicate nelle aree urbane, la crescita non uniforme e le
disuguaglianze contribuiscono ad alimentare l’autoritarismo. Oggi i
leader di grandi paesi che in passato si sono sentiti trascurati, come
l’India e la Cina, cercano di recuperare terreno sui vincitori della
storia. Usano le idee e le tecnologie dei paesi occidentali e potrebbero
perfino adottare una parte della loro ideologia. Ma sono legati ai
propri programmi politici, e il destino delle loro società alla fine
verrà determinato dalle contraddizioni sociali ed economiche più che
dalle illusioni degli osservatori stranieri. La storia inoltre ci
dimostra in modo allarmante che, intrappolati nella loro stessa
retorica, i regimi autoritari tendono a inasprirsi. È così che la
Germania e il Giappone finirono per dichiarare guerra al loro partner
commerciale più stretto, gli Stati Uniti. Meglio non farsi illusioni: il
mondo era un luogo pericoloso molto prima che Xi Jinping diventasse il
leader supremo della Cina e Donald Trump cominciasse ad annunciare
guerre commerciali. I pericoli non si vedevano a causa
dell’intossicazione ideologica e dell’amnesia storica creata dal crollo
dell’Unione Sovietica e da quello dei regimi dell’Europa orientale. Si
credeva che la storia dovesse muoversi verso il capitalismo e la
democrazia occidentale. La stretta sul potere di Xi ci ricorda che è
arrivato il momento di mettere da parte le illusioni e di fare i conti
con la realtà.