internazionale 11.3.18
Le opinioni
La sinistra italiana guarda solo al passato
Di David Broder
La
sconfitta del Partito democratico (Pd) in Italia è storica. Nel 2013
c’era stata una brutta sorpresa, quando il ritorno del berlusconismo e
l’ascesa del Movimento 5 stelle avevano fatto sfumare le prospettive di
vittoria del centrosinistra. Quella del 4 marzo però non è una
sconfitta, ma una crisi. I social network sono pieni di considerazioni
pessimiste, anche se esagerate, sul fatto che l’Italia è diventata “di
destra al 70 per cento” . Pensando a quello che è successo in altri
paesi europei, ci si potrebbe chiedere se le difficoltà attuali del Pd
non siano un esempio locale di un fenomeno più vasto. Nei sondaggi in
Germania i socialdemocratici della Spd sono dietro la formazione di
estrema destra Alternative für Deutschland (Afd) e perfino nei paesi
scandinavi la socialdemocrazia è in difficoltà. La stampa dei paesi
anglofoni parla di “pasokizzazione” della socialdemocrazia, riferendosi
al crollo del Pasok, il partito socialista greco, sceso dal 44 per cento
del 2009 al 4,7 per cento del 2015. Il Partito democratico resta il
principale partito di centro in Italia e non rischia di essere
inghiottito dalla sinistra radicale, com’è successo al Pasok. Inoltre il
Pd, nato dallo scioglimento del Partito comunista, non sembra disposto a
ispirarsi ai laburisti britannici di Jeremy Corbyn. Tutto fa pensare
che resterà aggrappato alle sue ricette centriste, cercando di rimanere a
galla. I guai del Pd nascono dal suo allontanamento dalla base. I
partiti da cui proviene riuscivano a mobilitare il popolo di sinistra ma
il Pd, a partire dalla crisi del 2008, è stato abbandonato dai giovani e
dai lavoratori. O meglio li ha abbandonati. La disoccupazione giovanile
alimenta la disperazione sociale, i valori della solidarietà non
trovano più terreno fertile. Ed è in questo pantano che cresce la
protesta. La crisi della sinistra italiana ha radici lontane nel tempo e
nello spazio. La svolta neoliberista degli anni ottanta ha portato con
sé l’esternalizzazione, la parcellizzazione del lavoro e l’atomizzazione
della classe operaia, base storica della sinistra. Ma negli anni
novanta e nei primi duemila i partiti di centrosinistra europei, mentre
si spostavano sempre più verso il liberismo, sono riusciti a comprarsi
gli emarginati con le politiche di welfare e l’aumento della spesa
pubblica. Tuttavia per i lavoratori non specializzati le nuove parole
d’ordine della socialdemocrazia, come “sogni” e “new economy”, erano
solo chiacchiere. Negli anni novanta, diversamente che nel dopoguerra, i
difensori degli oppressi hanno cominciato a raccogliere consensi tra
gli elettori laureati. Dal 1991 il Pd-ex Ds-ex Pds ha cercato di
importare questa “terza via” in Italia. Il partito nato negli anni
novanta dalle correnti del Pci e dai naufraghi della Democrazia
cristiana ha fatto sue le ricette di Tony Blair. Lo spauracchio del
berlusconismo e il sistema maggioritario hanno permesso al
centrosinistra di far entrare nella sua coalizione i potenziali
avversari alla sua sinistra. Dal 2008 però è cominciato il disfacimento.
Il mito del successo di Matteo Renzi alle europee del 2014, quando il
Pd ha preso il 40 per cento, ha reso il partito cieco nei confronti dei
danni che aveva fatto alla sua base. Parole d’ordine come quella della
“disciplina nei conti pubblici” hanno fatto presa sugli elettori anziani
del ceto medio, ma il Pd non ha offerto niente agli strati ben più
numerosi della popolazione, i cui redditi venivano erosi dalla crisi.
Nei dieci anni successivi la crisi economica ha favorito un pessimismo
generale. Il caos istituzionale, l’arrogante indifferenza dei politici e
la scelta di non proporre nessuna alternativa all’austerità hanno
alimentato il disprezzo per la politica.
Il Movimento 5 stelle è
un grido di rabbia, più che di speranza. Eppure ha preso il posto della
sinistra: secondo l’istituto di sondaggi Ipsos, prima delle elezioni i
cinquestelle avevano il 40,6 per cento dei consensi tra gli operai, il
Pd solo il 13,6 per cento. Il Partito democratico non è stato solo
“pasokizzato”. In Grecia gli elettori del Pasok si sono spostati verso
Syriza. In Francia e in Spagna sono emerse formazioni nuove che
rappresentano i giovani e i disoccupati. Nel Labour britannico, dopo una
sida interna, è stato rovesciato il blairismo. In Italia rinnovamenti
simili non si sono visti ed è difficile immaginare da dove possano
venire. Le recenti sconfitte e l’eredità del passato pesano sulle
formazioni a sinistra del Pd. Il Movimento 5 stelle, quando era
all’opposizione, malgrado la sua mancanza di proposte è riuscito a
esprimere un forte spirito antisistema, anche se condito con parole
d’ordine reazionarie. La sinistra italiana guarda all’estero o al
passato, ma mai al futuro. Per recuperare terreno non dovrebbe solo
condannare il populismo “irresponsabile”, ma anche dare qualche speranza
a chi lavora per cinque euro all’ora. Gli umiliati e offesi hanno
subìto le conseguenze del caos già prima del 4 marzo: distanti dalla
retorica del centrosinistra, sono stati attratti da altre sirene, da
partiti che non li deridevano chiamandoli analfabeti, pigri o choosy
(schizzinosi). Abbandonati e senza speranze, erano in una brutta
situazione e hanno votato per dei brutti partiti.