lunedì 12 marzo 2018

internazionale 11.3.18
Le opinioni
La sinistra italiana guarda solo al passato
Di David Broder


La sconfitta del Partito democratico (Pd) in Italia è storica. Nel 2013 c’era stata una brutta sorpresa, quando il ritorno del berlusconismo e l’ascesa del Movimento 5 stelle avevano fatto sfumare le prospettive di vittoria del centrosinistra. Quella del 4 marzo però non è una sconfitta, ma una crisi. I social network sono pieni di considerazioni pessimiste, anche se esagerate, sul fatto che l’Italia è diventata “di destra al 70 per cento” . Pensando a quello che è successo in altri paesi europei, ci si potrebbe chiedere se le difficoltà attuali del Pd non siano un esempio locale di un fenomeno più vasto. Nei sondaggi in Germania i socialdemocratici della Spd sono dietro la formazione di estrema destra Alternative für Deutschland (Afd) e perfino nei paesi scandinavi la socialdemocrazia è in difficoltà. La stampa dei paesi anglofoni parla di “pasokizzazione” della socialdemocrazia, riferendosi al crollo del Pasok, il partito socialista greco, sceso dal 44 per cento del 2009 al 4,7 per cento del 2015. Il Partito democratico resta il principale partito di centro in Italia e non rischia di essere inghiottito dalla sinistra radicale, com’è successo al Pasok. Inoltre il Pd, nato dallo scioglimento del Partito comunista, non sembra disposto a ispirarsi ai laburisti britannici di Jeremy Corbyn. Tutto fa pensare che resterà aggrappato alle sue ricette centriste, cercando di rimanere a galla. I guai del Pd nascono dal suo allontanamento dalla base. I partiti da cui proviene riuscivano a mobilitare il popolo di sinistra ma il Pd, a partire dalla crisi del 2008, è stato abbandonato dai giovani e dai lavoratori. O meglio li ha abbandonati. La disoccupazione giovanile alimenta la disperazione sociale, i valori della solidarietà non trovano più terreno fertile. Ed è in questo pantano che cresce la protesta. La crisi della sinistra italiana ha radici lontane nel tempo e nello spazio. La svolta neoliberista degli anni ottanta ha portato con sé l’esternalizzazione, la parcellizzazione del lavoro e l’atomizzazione della classe operaia, base storica della sinistra. Ma negli anni novanta e nei primi duemila i partiti di centrosinistra europei, mentre si spostavano sempre più verso il liberismo, sono riusciti a comprarsi gli emarginati con le politiche di welfare e l’aumento della spesa pubblica. Tuttavia per i lavoratori non specializzati le nuove parole d’ordine della socialdemocrazia, come “sogni” e “new economy”, erano solo chiacchiere. Negli anni novanta, diversamente che nel dopoguerra, i difensori degli oppressi hanno cominciato a raccogliere consensi tra gli elettori laureati. Dal 1991 il Pd-ex Ds-ex Pds ha cercato di importare questa “terza via” in Italia. Il partito nato negli anni novanta dalle correnti del Pci e dai naufraghi della Democrazia cristiana ha fatto sue le ricette di Tony Blair. Lo spauracchio del berlusconismo e il sistema maggioritario hanno permesso al centrosinistra di far entrare nella sua coalizione i potenziali avversari alla sua sinistra. Dal 2008 però è cominciato il disfacimento. Il mito del successo di Matteo Renzi alle europee del 2014, quando il Pd ha preso il 40 per cento, ha reso il partito cieco nei confronti dei danni che aveva fatto alla sua base. Parole d’ordine come quella della “disciplina nei conti pubblici” hanno fatto presa sugli elettori anziani del ceto medio, ma il Pd non ha offerto niente agli strati ben più numerosi della popolazione, i cui redditi venivano erosi dalla crisi. Nei dieci anni successivi la crisi economica ha favorito un pessimismo generale. Il caos istituzionale, l’arrogante indifferenza dei politici e la scelta di non proporre nessuna alternativa all’austerità hanno alimentato il disprezzo per la politica.
Il Movimento 5 stelle è un grido di rabbia, più che di speranza. Eppure ha preso il posto della sinistra: secondo l’istituto di sondaggi Ipsos, prima delle elezioni i cinquestelle avevano il 40,6 per cento dei consensi tra gli operai, il Pd solo il 13,6 per cento. Il Partito democratico non è stato solo “pasokizzato”. In Grecia gli elettori del Pasok si sono spostati verso Syriza. In Francia e in Spagna sono emerse formazioni nuove che rappresentano i giovani e i disoccupati. Nel Labour britannico, dopo una sida interna, è stato rovesciato il blairismo. In Italia rinnovamenti simili non si sono visti ed è difficile immaginare da dove possano venire. Le recenti sconfitte e l’eredità del passato pesano sulle formazioni a sinistra del Pd. Il Movimento 5 stelle, quando era all’opposizione, malgrado la sua mancanza di proposte è riuscito a esprimere un forte spirito antisistema, anche se condito con parole d’ordine reazionarie. La sinistra italiana guarda all’estero o al passato, ma mai al futuro. Per recuperare terreno non dovrebbe solo condannare il populismo “irresponsabile”, ma anche dare qualche speranza a chi lavora per cinque euro all’ora. Gli umiliati e offesi hanno subìto le conseguenze del caos già prima del 4 marzo: distanti dalla retorica del centrosinistra, sono stati attratti da altre sirene, da partiti che non li deridevano chiamandoli analfabeti, pigri o choosy (schizzinosi). Abbandonati e senza speranze, erano in una brutta situazione e hanno votato per dei brutti partiti.