lunedì 19 marzo 2018

Il Sole Domenica 18.2.18
Scommessa su dio
Rimbrotti dei cristiani ai pagani
di Armando Torno


Nei Pensieri Blaise Pascal parlò della scommessa, del “pari”. Sosteneva che conviene a ogni uomo. Detta in soldoni, si può così riassumere: scommettete sull’esistenza di Dio; se Lui c’è guadagnate tutto, se non c’è nulla si perde. La proposta del filosofo avrà una fortuna straordinaria, ma taluni scriveranno che non si trattava di un’idea nuova. Ernest Jovy, che tra il 1927 e il 1936 pubblicò nove volumi di Études pascaliennes, notava che già Platone nel Fedone e Seneca utilizzarono un simile argomento; o almeno si avvicinarono al “pari”. Fu comunque Pierre Bayle nel suo celebre Dictionnaire (la prima edizione di Rotterdam, in 4 volumi, comincia nel 1695) che segnalò un antico testo analogo a quello di Pascal: era autore un Padre della Chiesa, Arnobio. L’opera si intitolava Adversus nationes, Contro i pagani.
Non si creda che la ricerca delle “sources” si chetasse dopo Bayle. Per fare un altro esempio, basterà ricordare Louis Blanchet: nel 1919 sosteneva che la fonte più vicina a Pascal fosse padre Antoine Sirmond, della Compagnia di Gesù. In un libro del 1635, intitolato Démonstration de l’immortalité de l’âme, già la esponeva. Come dire: il giansenista dei Pensieri attingeva a fonti che desiderava confutare. Non è il caso di riferire tutto il gran dibattere che seguì, giacché si lessero infinite altre indicazioni; ne diede comunque conto, con una storia esauriente, il norvegese Per Lønning nel suo saggio Questa scommessa paurosa, nel 1980.
Ora, dopo una nuova edizione di Contro i pagani, uscita nella collana Scrittori cristiani dell’Africa romana di Città Nuova, si rincontra il tema della scommessa. I sette libri dell’opera si basano sul testo latino stabilito a suo tempo da Concetto Marchesi (la seconda edizione uscì nel 1953), poi criticamente rivisto da Chiara O. Tommasi, studiosa che ha tenuto conto dei miglioramenti di singole parti editate successivamente. La traduzione si deve a Biagio Amata.
Arnobio di Sicca, noto anche come “il Vecchio”, morì nel 327 circa della nostra era. Retore pagano e maestro del più celebre apologeta Lattanzio, si convertì in età avanzata e avrebbe scritto Contro i pagani dopo una visione avuta in sogno in un anno precedente il 311, data in cui si registra il primo editto di tolleranza di Galerio. È un’opera che sovente presenta più pathos declamatorio che calore di fede, forse perché l’autore non conosceva ancora a fondo il cristianesimo. È un testo che conserva notevole interesse proprio grazie ai suoi difetti: taluni argomenti contengono una vasta problematica, alla quale appartengono i temi della scommessa, L’opera è importante per comprendere lo scontro tra cristianesimo e paganesimo.
Arnobio ha una cultura che non è quella di un apologeta consumato e ricorre a slanci, non dimenticando le abilità del suo mestiere. Ricorda, per esempio, che attuando i principi di Gesù le guerre sarebbero impossibili (I libro); mostra come taluni insegnamenti cristiani si trovino nei testi dei grandi filosofi greci (II libro, dove nota che Platone aveva già intuito l’immortalità dell’anima). L’attacco ai miti degli dei (dal II al V libro) consente ad Arnobio di sottolineare che la loro interpretazione allegorica non è accettabile; poi ripudia la sua vecchia religione (VI libro) e con essa templi e simulacri; infine, nel VII libro, che non è stato rifinito, condanna i sacrifici.
C’è un po’ tutto quello che all’inizio del IV secolo i cristiani rimproveravano ai pagani e, per molti aspetti, è un’opera che risponde alle offensive dei gentili. Si pensi a Celso e al suo Discorso vero, del II secolo; ci si ricordi delle critiche contro la nuova fede culminanti, alla fine del III secolo, con l’opera più forte: Contro i cristiani di Porfirio. Lo scontro, comunque, proseguì oltre Arnobio, ben oltre Porfirio, andò avanti almeno sino al VI secolo. Sarebbe una storia da approfondire e ripensare, forse da riscrivere. Per capire meglio le radici dell’Occidente.
Arnobio, Contro i pagani , Città Nuova Editrice, Roma, pagg. 622, € 82