lunedì 12 marzo 2018

Il Sole domenica 11.3.18
Antiche mnemotecniche
Sublime arte per smemorati
di Lina Bolzoni


Memoria artificiale? E ce ne parla, e ce la mette sotto gli occhi con le sue immagini, un manoscritto del Quattrocento? Tutto questo oggi ci risuona familiare e strano nello stesso tempo. Per noi è normale pensare a strumenti (dal computer al tablet, al telefonino) che appunto in modo artificiale sorreggono, al limite sostituiscono la nostra memoria; si tratta però appunto di macchine, di strumenti, non di tecniche che si affidano alla nostra mente, non di procedure, semplici e arzigogolate nello stesso tempo, che cercano di porre ordine nelle sterminate praterie, nei misteriosi spazi, nelle tenebrose caverne della nostra memoria (così se la raffigurava sant’Agostino). Eppure il manoscritto di cui parliamo è solo un esempio di una tradizione millenaria - l’arte della memoria - che ha cercato di rafforzare le nostre capacità naturali di ricordare affidandosi al controllo della mente. Ha cercato di porre un ordine tra i fantasmi disordinati che, carichi di passioni, si presentano nei nostri sogni e nei nostri ricordi, ha cercato di rimodellare i territori della memoria, proiettandovi spazi su cui scrivere (di libro della memoria parla all’inizio della Vita nuova Dante, che quel libro leggerà e riscriverà sul modello dei manoscritti miniati che gli erano familiari), vi ha costruito palazzi, templi, teatri, edifici in cui collocare le immagini cui affidare i ricordi, così da ritrovare le une e gli altri quando con la mente si ripercorreranno quei luoghi. Nel mondo classico l’arte della memoria serve agli oratori, a chi deve recitare in pubblico un discorso; nel Medioevo si intreccia con la novità della religione cristiana: è al servizio dei predicatori, ma guida anche alla purificazione morale e alla contemplazione, scandisce e imprime nella mente le tappe che portano a una trasformazione interiore; nel Quattrocento ha un’ampia diffusione e viene incontro a bisogni diversi: serve a medici e giuristi, a letterati e ambasciatori, ma anche a giocare a carte ricordando quelle che sono già uscite, oppure a tenere a mente crediti, debiti, date e nomi , oppure le merci imbarcate su di una nave, assume insomma un carattere più tecnico e più pratico.
A questa fase “pratica” dell’arte della memoria, o memoria artificiale, come recita il titolo, appartiene il manoscritto italiano, oggi conservato a Parigi, nella Biblioteca Sainte-Geneviève (ms.3368), che questo splendido libro ci fa vedere e conoscere: vedere perché ce ne offre una preziosa riproduzione in facsimile, di alta qualità; conoscere perché il testo è trascritto criticamente, accompagnato da un accurato commento e da una serie di saggi che da diverse prospettive disciplinari ci permettono di capire cosa abbiamo di fronte, ci danno tutti gli strumenti necessari per apprezzare questo oggetto strano e bellissimo: una specie di fossile giunto a noi da un mondo alieno, in cui ricordare era una necessità vitale, una pratica riconosciuta e ricercata, e insieme qualcosa che ha una sorta di inquietante familiarità, perché ha a che fare col potere delle immagini e con i meccanismi attraverso cui la nostra mente fissa e trasforma i suoi ricordi.
Federica Pich e Andrea Torre hanno curato il volume, hanno scritto due dei saggi introduttivi e coordinato i contributi, affidati a studiosi di età e di nazioni diverse: Sabine Seelbach ha inserito il testo nella tradizione quattrocentesca mostrando come sia influenzato dalle Artificialis memoriae regulae che nel 1434 Jacopo Ragone dedica al marchese di Mantova; Federica Toniolo ha analizzato le illustrazioni, collocandole nella Venezia degli anni Sessanta-Settanta del Quattrocento, in una bottega in cui operava un maestro di formazione tardogotica; Carlo Alberto Girotto ha fornito una descrizione codicologica del manoscritto; Sara Shroukh ha interrogato il testo in un’ottica antropologica, sottolineando le modalità cognitive che esso mette in scena. Come interagiscono parole e immagini nel teatro della memoria che il manoscritto descrive e insieme via via costruisce ce lo mostrano in modo preciso e avvincente i due saggi di Federica Pich e di Andrea Torre. Quello che rende speciale il nostro manoscritto è infatti la ricca presenza delle immagini, disegni e miniature a tempera, a volte incompiuti. Già nella dedica l’anonimo autore sottolinea questa componente: ha scritto, dice, il testo dietro le insistenti preghiere di Bartolomeo, che ha un «ardentissimo disio» di avere a disposizione la memoria artificiale non solo scritta «ma in apparente imagine». Non si tratta cioè soltanto di costruire le immagini mentali, le imagines agentes, capaci di colpirci emotivamente, che la tradizione raccomandava, ma di dar corpo e visibilità a quelle immagini, così che accompagnino, commentino il testo, lo integrino, ne suggeriscano lo sviluppo. E quel che abbiamo davanti è uno straordinario set di immagini fantastiche, quasi surreali: corvi neri che spuntano da stivali rossi, scale che si arrampicano nel vuoto, sirene accovacciate sul pavimento che suonano il flauto, improbabili botteghe, scaffali su cui si allineano oggetti e esseri disparati, banchetti in cui i commensali reggono strani oggetti e fanno gesti incongrui. Nello spazio teatrale delle stanze della memoria, la cui mappa si dispiega all’inizio del manoscritto, compare, elegantemente vestito, chi pratica l’arte. Costruisce le immagini per ricordare, ma assiste anche alle scene violente e sanguinose di chi ferisce, uccide, caccia le immagini e i personaggi che le incarnano perché ha bisogno di liberarsi dai ricordi. Se l’arte della memoria è difficile, ancor più lo può essere, a volte, l’arte dell’oblio.
Di l’artificial memoria. Ms.3368 Bibliothèque Sainte-Geneviève di Parigi ,
a cura di Federica Pich e Andrea Torre,
La Stanza delle Scritture, Napoli,
pagg. 275, € 130