Il Sole domenica 11.3.18
Italia e cultura
Scienze umane in fuorigioco
di Tullio Gregory
Le riforme del Cnr hanno portato a una perdita di centralità di istituti che vantano anni di storia e precisi ambiti di ricerca
È
noto come nell’ambito delle cosiddette “scienze dure” sia sempre stata
diffusa qualche perplessità, a volte opposizione, relativa alla presenza
nel CNR delle scienze storiche, filologiche, filosofiche, linguistiche,
archeologiche, giuridiche sociologiche e psicologiche, ed è confermato
dalla storia del CNR dopo la riforma del 1963: se quella riforma ebbe il
merito – e il coraggio – di inserire nel CNR le scienze umane, secondo
il prevalente schema europeo, nella successione delle varie riforme la
loro presenza è stata infatti progressivamente marginalizzata. Basti
pensare che nel 1963 la legge istitutiva del nuovo CNR prevedeva tre
comitati di consulenza per le scienze umane, più un quarto
interdisciplinare per i beni culturali. Dunque una presenza forte
(complessivamente i Comitati di consulenza erano dieci), che diede
subito ottimi risultati con l’avvio di strutture e di ricerche che hanno
fortemente inciso sulla cultura italiana, universitaria e del CNR.
Successivamente una riforma del 1999 soppresse i Comitati di consulenza –
espressione della comunità dei ricercatori – poi sostituiti (2003) con i
Dipartimenti, strutture equivoche fra ricerca e amministrazione, con
forte diminuzione della presenza delle scienze storiche, filologiche,
ecc.: su undici Dipartimenti, due soli per queste discipline (Identità
culturale; Patrimonio culturale). Poi un’altra mini riforma ridusse
(2012) i due dipartimenti a uno solo (Dipartimento di scienze umane e
sociali, patrimonio culturale) che comprende dalla psicologia
all’archeologia, dalla linguistica alla sociologia, dalla filologia
all’informatica. Nessuno avrebbe mai proposto di riunire, per esempio,
scienze mediche e scienze della terra! L’accorpamento in un unico
dipartimento di tutte le scienze umane ha portato al bando di concorsi
dissennati, ove sono stati messi a confronto contributi scientifici fra
loro non paragonabili, dall’edizione critica di un testo greco a una
ricerca di scienze cognitive, dallo scavo archeologico al diritto
europeo. Senza dire dell’altrettanto dissennata adozione di criteri
imposti dall’ANVUR (ove i nomoteti non sanno neppure cosa sia
un’edizione critica), in base ai quali la ricerca scientifica (abbassata
a livello aziendalistico di “prodotto”) perde valore rispetto ad altre
attività che distraggono il ricercatore dai compiti suoi propri.
Da
questo complesso panorama, qui solo accennato, è facile capire la
considerazione nella quale sono tenuti nel CNR gli istituti afferenti al
Dipartimento di scienze umane e sociali, patrimonio culturale, i quali,
si badi, nelle valutazioni promosse dallo stesso CNR, occupano i primi
posti, anche rispetto agli istituti afferenti alle cosiddette scienze
dure. Su questa situazione si dovrà riflettere, e l’attuale presidente
del CNR (come il direttore del Dipartimento) non portandone alcuna
diretta responsabilità, perché l’ha trovata, potrebbe promuovere un
esame del ruolo della scienze umane nel CNR; d’altra parte la comunità
stessa del CNR e delle Università dovrà decidere se continuare a subire
una situazione sempre periferica di queste scienze (dalle quali dipende
in gran parte il prestigio internazionale della nostra cultura) e se,
contemporaneamente, non sia il caso di rifiutare, con disobbedienza
civile, le norme dettate dall’ANVUR che non hanno alcun rispetto per la
ricerca scientifica e i suoi risultati.
Preoccupa peraltro la
serpeggiante prospettiva di una nuova piccola riforma interna, anche
questa senza alcun progetto culturale, che punta alla distruzione degli
istituti esistenti nel Dipartimento di scienze umane e sociali, per
creare nuovi istituti, non più diciannove, ma al massimo sette (numero
probabilmente scelto per attenti calcoli cabalistici e significati
riposti): ciò significa – almeno per le discipline delle quali stiamo
parlando – che non si intende accertare se esistano programmi culturali
che comportino nuove forme di collaborazione fra alcuni istituti, ma che
per principio i saperi rappresentati dalle scienze umane non hanno
un’identità precisa, e anche le ricerche più specialistiche possono
essere condotte da qualsivoglia istituto a prescindere dalle metodologie
proprie di ciascuno. In questa serpeggiante riforma l’unico ideale
sembra essere espresso nella formula “più grande è più bello”, non, si
badi, più efficiente. Sicché si rischia di vedere soppressi istituti con
molti decenni di storia, a volte più di mezzo secolo, con ambiti di
ricerca ben precisi, affermati a livello internazionale come luoghi
esemplari di ricerche originali, valutati di primaria importanza in
tutto il mondo. Così si configura il rischio che un’impresa come quella
monumentale ed esemplare dell’OVI (Istituto Opera del vocabolario
italiano) – con la grande banca dati dell’italiano delle origini sino
alla fine del Trecento – si trovi accorpata con un istituto di
linguistica computazionale che, come si comprende facilmente, con
ricerche di italianistica non ha nulla in comune, salvo l’uso del
computer; o che un altro istituto, da oltre cinquant’anni impegnato in
ricerche sul lessico di cultura (Lessico Intellettuale Europeo e Storia
delle Idee), con oltre 125 volumi pubblicati per il solo Lessico, si
trovi unito a uno di Storia del pensiero filosofico e scientifico
moderno: due istituti che non hanno nulla in comune per quanto riguarda
la propria storia, la propria metodologia, le proprie ricerche e
pubblicazioni, il profilo dei ricercatori.
Si potrebbe continuare:
ma lo scenario è già abbastanza preoccupante perché non meriti una
particolare attenzione da parte del presidente del CNR e di tutta la
comunità degli studiosi. Non si mettono in liquidazione strutture
efficienti e storicamente affermate con una riforma priva di ogni
programma culturale, ignorando, sembra, che sono proprio le discipline
umanistiche ad assicurare all’Italia posizioni di primo piano nelle
valutazioni internazionali della ricerca scientifica.