Il Sole domenica 11.3.18
Marsilio Ficino (1433 - 1499)
Tra Talmud e Vangelo
Un bel volume indaga su uno dei temi meno noti dell’ibridazione culturale dell’epoca: quello con l’ebraismo
di Giulio Busi
Purché
se ne parli… È regola antica, aurea, intramontabile. Vecchia quanto la
Fama, il mostro alato dai mille occhi e dalle ancor più numerose
orecchie. Vola la Fama, instancabile, insaziabile. E mentre vola,
sparla. Vero, falso, impossibile, cosa importa? Basta che la diceria
scorra inarrestabile. Volete essere buoni e dimenticati o cattivi e
sulla bocca di tutti? Prendete per esempio due grandi nomi del passato,
cominciate a dirne un po’ male, e vedrete che se ne ricorderanno in
molti, e a lungo. Due maghi, ecco cosa sono. O meglio, cosa sono stati,
perché i poveretti sono morti e sepolti già da un pezzo.
I due
incantatori in questione sono nientemeno che Marsilio Ficino e Giovanni
Pico della Mirandola, i massimi filosofi dell’Umanesimo. È il 1514, e
durante le prediche di quaresima, a Santa Maria del Fiore, saltano fuori
i dettagli di riti vecchi ormai di decenni, quando Ficino e Pico se ne
andavano per la campagna di Careggi, bisbigliando certe invocazioni,
spargendo profumi e ripetendo astruse litanie cabbalistiche. E cosa
volevano ottenere, di grazia? «Fare miracoli et prophetare», questo lo
scopo di tanto affaticarsi con formule e scongiuri, almeno secondo il
predicatore, che tuona dal pulpito contro la buonanima, si fa per dire,
dei due scapestrati.
Maldicenza o verità storica? Girolamo
Benivieni, un amico intimo di Pico, prende carta e penna per confutare
le dicerie, e difendere la memora del grande Mirandolano. E già che c’è,
prova a scagionare anche Ficino. Ma la sua apologia non ci convince più
di tanto. Io stavo con Pico giorno e notte – questo il succo
dell’argomentazione – e me ne sarei senz’altro accorto, di manovre
magiche così imbarazzanti. Pico è morto già nel 1494, a soli 31 anni,
probabilmente avvelenato. E Ficino l’ha seguito nel 1499. Che ci si
continui a scandalizzare alle loro spalle, nella Firenze ricaduta in
mano medicea, dopo l’avventura della repubblica, savonaroliana prima e
guidata da Pier Soderini poi, la dice lunga sul carattere innovativo e
provocatorio del sodalizio filosofico tra i due.
Non che siano
sempre andati d’accordo. Pico, bello, ricco, blasé, nonostante la
giovanissima età, arriva a Firenze nel 1484, proprio per avvicinarsi
alla cerchia di Ficino, maestro indiscusso dei platonici, al di qua e al
di là delle Alpi. Il Conte della Mirandola è troppo impaziente per
stare alla scuola di chicchessia, e dopo solo qualche mese ha da ridire
sul platonismo ficiniano, che finisce per trovare demodé. È innegabile
però che l’incontro tra Ficino e Pico, subito allargato ad Angelo
Poliziano e a Lorenzo de’ Medici, segni l’apogeo intellettuale dell’età
laurenziana.
Nella Firenze degli anni Ottanta e dei primissimi
Novanta del Quattrocento si cristallizza un’atmosfera intellettuale
irripetibile, che influenzerà a lungo la cultura del nostro Paese. È una
mescolanza di raffinatezza, azzardo, gusto per l’esperimento, resa
possibile dalla protezione e, perché no, dalla spregiudicatezza del
Magnifico, signore di fatto della città e accorto arbitro della politica
dell’intera Penisola. Nell’aneddoto del 1514 rimane il pettegolezzo,
l’eccesso magico imputato favolisticamente a Ficino e a Pico.
La
realtà della Firenze medicea è molto più complessa, creativa,
sorprendente. La magia, perché c’è anche quella, e l’esoterismo, si
inseriscono in un progetto più ampio di armonia tra le sapienze. Nelle
biblioteche di Firenze si ammassano codici antichi e rarissimi. La
città, ancora ricca e intraprendente, si trasforma in un emporio di
cultura, con una concentrazione di conoscenze mai vista prima. Ficino,
Pico, Poliziano sono interpreti, ciascuno con accenti propri, di un
sogno di compenetrazione tra culture. Sono convinti che ci sia una linea
nascosta, che lega la filosofia pre-cristiana, le tradizioni occulte
degli ebrei, la sapienza di Hermes Trismegisto e la teologia cristiana.
Questa è l’ipotesi su cui si lavora alacremente «all’ombra del Lauro» –
ovvero, per metafora, al riparo del potere di Lorenzo il Magnifico.
In
un bel volume, ben munito di filologia e carico di prove testuali,
Guido Bartolucci va alla scoperta di uno dei temi meno noti
dell’ibridazione culturale tardo-quattrocentesca. Di Ficino ermetico e
platonico s’è scritto e riscritto. Ma del Ficino ebraista o, per lo
meno, ebraizzante, non si sapeva finora quasi nulla. Bartolucci mette in
fila le tracce sparse nei testi ficiniani e in alcuni frammenti
biografici. Soprattutto dal De Christiana religione, pubblicato per la
prima volta in volgare nel 1474, poi in latino nel 1476 e nuovamente
rimaneggiato nel 1484, affiora l’idea che esista un’arcana tradizione
talmudica, che concorderebbe con il messaggio evangelico. Le prove
testuali addotte da Ficino sono false, ovvero si tratta di testi ebraici
addomesticati e stravolti. Ma l’esperimento è illuminante, perché ci
mostra come il buon Marsilio non solo condivida ma addirittura preceda
il gran exploit cabbalistico di Giovanni Pico. È solo nel dicembre 1486,
infatti, che Pico pubblica le sue 900 Conclusiones, vero atlante
dell’utopia laurenziana di concordia universale delle conoscenze, in cui
il misticismo ebraico la fa da padrone.
Come dimostra Bartolucci,
le soffiate testuali ebraiche vengono al Ficino da una fonte poco
limpida. È un ebreo siciliano, convertito e piuttosto gaglioffo, che
conosciamo bene per il suo ruolo di ispiratore e traduttore per Pico. Il
nome? Uno solo non gli basta. La vita, si sa, è complicata, soprattutto
quando si muta fede, e magari si deve cambiar in fretta aria. Shemuel
ben Nissim da ebreo, Guglielmo Raimondo Moncada da cristiano, Flavio
Mitridate da latitante, questo il dossier onomastico del dotto
trasformista, che nel 1483 è stato coinvolto a Roma in un delitto,
probabilmente un omicidio, e ha dovuto far in fretta i bagagli. Grandi
eruditi – Ficino, Pico, Poliziano. Un gran signore – Lorenzo de’ Medici.
E un gran imbonitore – Flavio Mitridate. La vecchia Fama strabuzza i
suoi mille occhi e aguzza le diecimila orecchie. Con protagonisti così,
se ne (s)parlerà per secoli.
Guido Bartolucci, Vera religio. Marsilio Ficino e la tradizione
ebraica , Paideia, Torino,
pagg. 158, € 32