il manifesto 8.3.18
Non Una di Meno sciopera in 40 città: «Siamo marea, diventiamo tempesta»
8
marzo è sciopero. Da Roma a Milano, da Sud a Nord, il movimento
femminista Non Una di Meno rivendica il «reddito di autodeterminazione».
Potenza dello sciopero nel XXI secolo: contro la violenza maschile, le
molestie sessuali, la precarietà. Oggi sciopero generale nazionale
indetto da Usb a Usi per 24 ore dalla scuola ai trasporti locali
di Roberto Ciccarelli
Il
movimento femminista «Non una di meno», una delle più significative
novità della politica italiana, torna oggi a sfilare in 40 città in
occasionedello sciopero globale delle donne dell’otto marzo. Da Roma
(ore 17 da Piazza Vittorio) a Milano (due cortei: 9,30 Largo Cairoli; 18
piazza Duca d’Aosta), e poi Torino e Bologna, Bari, Salerno, Reggio
Calabria, tutta la penisola sarà invasa da quella che si è definita una
«marea».
«MAREA» è un concetto molto preciso che indica
l’espansione, e l’imprendibilità di un movimento con le forme
tradizionali del «politico» e della «rappresentanza». «Marea» è, in sé,
la forma della potenza, elemento primario della politica.
«SCIOPERARE
È una grande sfida perché ci scontriamo con il ricatto del lavoro
precario o del permesso di soggiorno – affermano le attiviste –
Scioperare può sembrare impossibile quando siamo isolate e divise e
sappiamo che il diritto di sciopero subisce quotidiane restrizioni».
Come quella che oggi impedirà a diverse categorie di lavoratori di
aderire allo sciopero a causa delle limitazioni imposte dalle franchigie
elettorali che impediscono di incrociare le braccia nei cinque giorni
che hanno seguito il voto di domenica scorsa.
CONTRO QUESTE
DIFFICOLTÀ la spinta di questo movimento non si è fermata. Alla giornata
globale, e italiana, di sciopero hanno aderito tra gli altri Greenpeace
e l’Arci, e poi Usb, Slai Cobas, Usi e Usi-Ait. I sindacati di base
hanno indetto un’astensione generale nazionale di 24 ore nel lavoro
pubblico e in quello privato. Parliamo di trasporto pubblico locale,
treni, aerei, scuole e uffici. La saldatura con il sindacalismo è
decisiva, e non è stata priva di difficoltà. In occasione dell’8 marzo
dell’anno scorso ci sono state polemiche sia con la Cgil che altri
sindacati di base. Ma il movimento va avanti: «Di fronte alla più grande
insorgenza globale delle donne i sindacati dovrebbero cogliere questa
occasione prendendo parte al processo che combatte la violenza maschile e
di genere. Sono queste le condizioni della precarizzazione del lavoro».
sciopero1
OGGI
MOLTI AMBIENTI di lavoro saranno coinvolti dalle tematiche femministe:
il piano contro la violenza maschile, un documento di 57 pagine,
un’elaborazione collettiva durata mesi, un testo di spessore teorico e
pratico notevole. Lo sciopero femminista è dunque più ampio dello
specifico, certamente necessario, «sindacale». La lotta si svolge dentro
e fuori il luogo di lavoro, dentro e fuori i rapporti di lavoro precari
e intermittenti. Investe l’intera soggettività femminile, e maschile,
sia quella impegnata nella produzione che quella della riproduzione.
«Sovvertiamo le gerarchie sessuali. le norme di genere, i ruoli sociali
imposti, i rapporti di potere che generano molestie e violenze». Qui la
critica ai rapporti di produzione e immanente a quella delle forme di
vita incastrate nelle culture patriarcali, autoritarie, razziste.
securitarie.
LA RIVENDICAZIONE centrale del movimento è «il
reddito di autodeterminazione», indipendente dal lavoro e dal permesso
di soggiorno. Questo reddito è accompagnato dalla rivendicazione di un
salario minimo europeo e un welfare «universale, garantito,
accessibile». L’obiettivo: garantire autonomia e libertà «sui nostri
corpi e sulle nostre vite. Vogliamo essere libere di muoverci».
GLI
SNODI LOCALI di «Non una di meno», numerosissimi come i video e i
documenti che girano in rete, hanno elaborato nei loro comunicati
piccole inchieste sulla realtà del lavoro, e del non lavoro, oggi. Si
denunciano le molestie sessuali sul lavoro, l’enorme disparità
retributiva che penalizza le donne, in particolare al Sud. Secondo lo
Svimez nel Mezzogiorno una donna (laureata) guadagna 300 euro medi in
meno rispetto a un uomo. È una realtà comune, frutto di un sistema. Per
questo è necessario una generalizzazione del movimento. Una convinzione
che lo ha spinto a «passare dalla denuncia individuale del #metoo alla
forza collettiva del #wetoogether bloccando lavoro produttivo e
riproduttivo, retribuito o gratuito».