il manifesto 6.3.18
E Pesaro manda a casa Minniti
di Mario Di Vito
PESARO
Era stato presentato come il più giusto tra i giusti del governo
Gentiloni, il duro e puro che era riuscito a fermare «l’invasione dei
migranti», il fautore del ritorno dell’ordine nel caos delle città. E
invece l’ormai ex ministro degli Interni Marco Minniti è affondato nel
collegio di Pesaro, storicamente rosso, sconfitto dal candidato fantasma
del M5S Andrea Cecconi (finito al centro della bufera per la questione
dei rimborsi non restituiti e promesso dimissionario in caso di
elezione) e dietro addirittura ad Anna Maria Renzoni del centrodestra,
forza di solito assente o quasi da queste parti. Una sconfitta
incredibile, appena 38mila voti raccolti (27,7%), contro i 45mila di
Cecconi (35%) e i 43mila di Renzoni (31,5%), nella città amministrata da
Matteo Ricci e patria di Luca Ceriscioli, il governatore delle Marche.
Il
risultato pesarese è da considerare come un voto punitivo per il Pd:
Minniti era stato catapultato qui con l’obiettivo di vincere in
scioltezza un collegio considerato sicuro e che invece si è rivelato una
tomba per l’ex ministro che riuscirà comunque a tornare in parlamento
(era anche in un listino proporzionale), ma che vede tramontare la sua
stella, e l’impressione è che il suo consenso in questi mesi sia stato
più un riflesso televisivo che un dato reale: quando si portano avanti
politiche di destra, è più facile che alla fine gli elettori scelgano
l’originale e non la copia.
E pensare che, durante la campagna
elettorale, il Pd aveva pochi dubbi sulla conquista del collegio di
Pesaro: il centrodestra di solito funge da comparsa, mentre il
pentastellato Cecconi sembrava avesse fatto harakiri, annunciando che si
sarebbe dimesso in caso di elezione. In questo senso, si vedrà come
andrà a finire, ma una cosa è certa: al nord delle Marche hanno
preferito votare un potenziale fantasma invece che un ministro renziano.
A questo punto è a rischio anche la tenuta dell’intero Pd marchigiano,
da qualche anno a trazione pesarese dopo anni di dominio della famiglia
Merloni e della sua corte dei miracoli. Il sindaco Ricci e il
governatore Ceriscioli si rimpallano la responsabilità del bagno di
sangue, ma le loro colpe in realtà sono soltanto relative in un contesto
che vede il centrosinistra crollare ovunque, anche dove credeva di
essere invincibile.