Il Fatto 6.3.18
De Luca jr è fritto: a Sud Salerno guida la
rivolta al ‘sistema’ De Luca jr è fritto: a Sud Salerno guida la rivolta
al ‘sistema’
di Antonello Caporale
“Insopportabile”.
La giovane barista salernitana riduce la questione politica a puro
sentimento: Salerno non ne poteva più di De Luca. Troppo Vicienz, che
fino a ieri era “patr a me” (“Vincenzo è il mio papà”, dicevano i
fedelissimi) non si è accorto di aver esondato. La sua famiglia ha
allagato la città e la regione e Piero, il giovane avvocato esperto di
diritto lussemburghese, il prediletto malgrado un processo per
bancarotta, rotola nel fiume di un rancore improvviso e definitivo.
Terzo su 4 contendenti dell’uninominale, una percentuale questa sì
insopportabile – 23,13 – per un cognome che teneva incollato sul suo
petto fino all’80% dei voti. È la svolta di Salerno. La seconda dopo
quella del secolo scorso. È sempre Salerno che annuncia la rivolta del
Sud ribelle al sistema. Oggi e così improvvisamente rinunzia al
padrinaggio del Pd e rifiuta anzi brucia la tessera forzista con la
quale in ben tre tornate politiche ha battuto cassa.
La città del
feudo, la roccaforte con la quale il papà ha controllato e governato
municipio e aziende pubbliche, mix perfetto per balzare in Regione e da
qui pompare soldi (un miliardo di euro in arrivo!) e irrobustire i
canali irrigui del consenso, oggi è zuppa di pioggia. Ora Salerno, e con
lei il sud volge lo sguardo ai 5stelle a cui tributa una messe
spropositata di voti, e lo fa più per rancore con quegli altri, tutti
gli altri, che per convinzione. Il candidato di Di Maio, Nicola
Provenza, un borghese di solide tradizioni democristiane, strapazza
Piero, il predestinato, e lo doppia nel consenso. La fiumana spalanca la
città al nemico più odiato, Giggino come lo chiama per sbeffeggiarlo De
Luca Papà. Ed è questa forse la vergogna più insopportabile. Oggi
Salerno è muta e Piero ha chiuso il portone della sede, e deve sperare
nel paracadute del proporzionale (primo in lista a Caserta) per un
ripescaggio in extremis. Pare un’azione di bonifica territoriale che qui
ha il suo centro di gravità permanente, l’espressione più potente di
cosa sia un potere efficiente ma minuziosamente clientelare,
familistico.
Salerno si piega e quasi travolge anche Marco
Minniti, qui capolista del listino, che deve fare i conti con i resti
per garantirsi la permanenza in Parlamento. E il torrente si fa fiume
perché non c’è area, territorio o comune dove il partito della sinistra
di governo regga. L’unico luogo in cui i cinquestelle si fermano, l’area
del Cilento, è il posto in cui il centrodestra issa la sua solitaria
bandierina contro il candidato Pd, l’ex sindaco di Agropoli Franco
Alfieri, bollinato come “frittura di pesce”, indicato dal conducator De
Luca come il più esperto nella pratica dello scambio corpo a corpo. Vota
e mangi, o vota e lavora. L’offerta dal fondale culinario nulla ha
potuto contro un movimento di ribellione silenzioso ma così vasto che ha
abbattuto anche il richiamo al luccichio delle royalties. Pochi
chilometri a est del Cilento c’è la Lucania, detenuta da un’altra
famiglia, quella dei Pittella, l’uno presidente dei socialisti europei e
l’altro governatore.
Terra di estrazione petrolifera, di
distribuzione di benefit, i diritti che le compagnie lasciano al
territorio. Il Pittella più noto ha conosciuto il ko tecnico, sparito
dai radar nella sua roccaforte. Ha perso contro un candidato reietto, il
presidente del Potenza Calcio, imprenditore accusato di reati
finanziari, a cui Di Maio ha tolto il patronage.
Pittella è stato
sconfitto da un impresentabile perché il Pd, nel Mezzogiorno è divenuto
impresentabile per definizione. La Campania si tinge di arancione, come
la Puglia, la Basilicata e la Calabria. Niente da fare, questa volta lo
tsunami è stato improvviso e potente e ha divelto, insieme al potere del
Pd, la vecchia burocrazia del centrodestra che qui aveva feudi e voti.
In Calabria, Gasparri e Alemanno, quando militavano in Alleanza
nazionale, avevano una cassaforte di consensi: oggi, zero. E 28 su 28
collegi è dunque il risultato siciliano, l’isola del sorriso
berlusconiano, la terra della religione arcoriana, che ora passa al M5S.
Il
Mezzogiorno si sveglia e porta, con la Sardegna, il senso della sua
protesta disperata. Certo, il reddito di cittadinanza, il bonus che Di
Maio ha promesso, è leccornia per l’esercito di disoccupati. Ma da solo i
soldi non spiegano tutto. De Luca, per tornare a Salerno, aveva appena
staccato un assegno da un miliardo, eppure.