il manifesto 5.3.18
Netanyahu a Washington per invitare Trump ad inaugurare l’ambasciata
Israele/Usa.
In agenda anche il nucleare iraniano. Intanto in Israele si aggravano i
guai giudiziari del premier e il governo vacilla.
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
Si è lasciato alle spalle i suoi guai giudiziari e una coalizione di
governo che vacilla Benyamin Netanyahu giunto ieri negli Stati Uniti per
una visita di cinque giorni che lo vedrà a colloquio con Donald Trump e
intervenire all’annuale conferenza dell’Aipac, la lobby americana
filo-Israele. Il premier israeliano prima della partenza ha annunciato
che con il suo stretto alleato Trump discuterà del programma atomico
iraniano. Perciò è probabile che faccia pressioni affinché il presidente
americano, tra qualche settimane, non certifichi il rispetto da parte
di Tehran dell’accordo internazionale sul nucleare firmato nel 2015 dai
cinque Paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, quindi anche
dagli Stati Uniti, più la Hermania. Trump ha già avvertito che non darà
più il suo via libera se il Congresso da una parte e l’Unione europea
dall’altra non emenderanno l’accordo e imporranno all’Iran il rispetto
di nuove misure, in particolare lo stop allo sviluppo del suo programma
missilistico. Una linea del pugno di ferro approvata in pieno Netanyahu
che reclama anche sanzioni per colpire quello che Tel Aviv descrive come
“l’espansionismo” di Tehran e la presenza in Siria e altri Paesi della
regione della Guardia Rivoluzionaria iraniana.
Netanyahu alla
partenza ha parlato di colloqui con Trump anche sull’Accordo del secolo,
il piano di pace dell’Amministrazione americana di cui però non vi è
ancora traccia visibile. Se ne conoscono solo alcuni punti grazie alle
indiscrezioni riferite dalla stampa israeliana che hanno già provocato
la reazione rabbiosa dei palestinesi. Netanyahu più di tutto a
Washington spingerà per ottenere a maggio la presenza di Trump
all’inaugurazione dell’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, dopo
il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele fatto
unilateralmente dalla Casa Bianca lo scorso 6 dicembre tra le forti
proteste dei palestinesi.
Netanyahu in America cerca anche il
sostegno personale di Trump. Spera che riesca ad influenzare il
procuratore generale israeliano Avishai Mandeblit chiamato a prendere
una decisione sulla richiesta della sua incriminazione per corruzione
presentata il mese scorso dalla polizia. Venerdì scorso Netanyahu e la
moglie sono stati interrogati nell’ambito delle indagini su corruzioni
legate all’azienda israeliana di telecomunicazioni Bezeq, un nuovo caso
che si aggiunge alle altre inchieste che lo vedono coinvolto e che
rischiano di travolgerlo. Il governo intanto scricchiola. Due partiti
religiosi hanno annunciato che la settimana prossima non sosterranno
alla Knesset la finanziaria per il 2019, presentata dal ministro delle
finanze Moshe Kahlon. «Non vi sono ragioni per un ritorno alle urne, se
c’è buona volontà la legislatura potrà finire come previsto l’anno
prossimo» dice il premier ma, tra i suoi guai giudiziari e i fermenti
nella maggioranza, il voto anticipato non è mai stato così vicino.