il manifesto 4.3.18
Il carburante oscuro dell’Universo
Astronomia.
L'espansione del cosmo è molto più veloce di quel che si pensava fino
ad oggi. Il nuovo valore della costante di Hubble prevede nel tempo un
allontanamento di pianeti e galassie: attraverso l’osservazione di otto
Cefeidi, «astri faro», si è misurata una accelerazione maggiore
di Piergiorgio Pescali
Da
quando nel 1929 l’astronomo Edwin Hubble scoprì il redshift, lo
spostamento verso il rosso della radiazione emessa dalle galassie, si è a
conoscenza che l’Universo si sta espandendo. Gli astrofisici hanno
cercato di quantificare la misura di questa dilatazione tentando di
rispondere a due domande: l’Universo si espande con la stessa velocità
o, invece, sta rallentando? Nel 1998 gli studi di Adam Riess, Brian
Schmidt e Paul Perlmutter replicarono alle questioni con una terza, del
tutto inaspettata, risposta: l’Universo continuava ad espandersi, ma con
una accelerazione in costante aumento. La scoperta valse ai tre
scienziati il premio Nobel per la fisica nel 2011.
PER
INTERPRETARE coerentemente la nuova teoria si introdusse, oltre alla
materia ordinaria e alla materia oscura, una terza componente, una sorta
di carburante che consentirebbe all’Universo di espandersi: la
cosiddetta energia oscura. Questa nuova grandezza rappresenterebbe circa
il 68,3% della materia che compone l’Universo (secondo la teoria della
relatività di Einstein, energia e materia sono strettamente correlate e
la massa non è altro che una forma di energia). Il restante 31,7%
sarebbe composto dalla materia oscura (26,8%) e da quella barionica
(4,9%), la materia che noi «vediamo» e con cui i nostri sensi
interagiscono ogni giorno.
Nessuno ha una risposta su cosa sia
energia e materia oscura. Sebbene illustri ricercatori come David L.
Wiltshire dell’università neozelandese di Canterbury o Alexander
Kashlinsky del centro di voli spaziali Goddard della Nasa, abbiano
ancora perplessità in merito all’espansione, la gran parte del mondo
scientifico avvalora la tesi secondo cui la dilatazione dell’Universo
sia causata da un’energia la cui origine rimane sconosciuta e della cui
entità è responsabile quella che viene chiamata costante di Hubble. Il
valore della costante stabilisce la velocità di recessione delle
galassie nel cosmo, ma il suo numero non è mai stato determinato con
precisione. Sino a pochi giorni fa si assumeva che questo fosse 67,15
chilometri al secondo per ogni Megaparsec di distanza (km/s/Mps).
PER
CAPIRE QUESTA UNITÀ di misura astronomica occorre spiegare che il
Megaparsec corrisponde a 3,26 x 106 anni luce (3.260.000 anni luce) e,
dunque, una galassia che dista dalla Terra 1 Megaparsec di allontana da
noi alla velocità di 65 chilometri al secondo. L’unità di misura della
costante di Hubble (km/s/Mps) implica che la velocità di allontanamento
di un oggetto aumenta con l’aumentare della distanza dall’osservatore:
una galassia distante 10 Megaparsec si allontanerà ad una velocità 10
volte maggiore rispetto a quella che si trova a 1 Megaparsec da noi ed
una distante 100 Megaparsec si sposterà ad una velocità 100 volte
maggiore.
Recentemente lo stesso Adam Riess che nel 1998 aveva
condotto la ricerca sull’accelerazione dell’espansione del cosmo, ha
annunciato i risultati di un nuovo studio durato quattro anni effettuato
con il telescopio di Hubble della Nasa e l’osservatorio spaziale Gaia
dell’Esa, l’Agenzia Spaziale Europea. Per tutta la durata delle
osservazioni e a distanza di sei mesi l’una dall’altra, Riess e la sua
equipe dello Space Telescope Science Institute (STScI) e della Johns
Hopkins University, di cui fa parte anche l’italiano Stefano Casertano,
hanno misurato Variabili Cefeidi, stelle pulsanti la cui luminosità
massima e minima varia in un tempo costante secondo periodi stabiliti.
Grazie al telescopio di Hubble, Riess è riuscito a osservare Cefeidi
nella Via Lattea distanti tra i 6.000 e i 12.000 anni luce dalla Terra,
una distanza dieci volte superiore a quella misurata sino ad oggi. Una
scommessa azzardata, visto che le oscillazioni luminose di Cefeidi così
lontane equivalgono ad appena 1/100 di differenza di luminosità di un
pixel di una macchina fotografica.
PER VINCERE QUESTA SFIDA la
squadra di ricercatori ha sviluppato un metodo di scannerizzazione che
«fotografava» la posizione della stella migliaia di volte al minuto ogni
sei mesi, per i successivi quattro anni paragonandone la luce emessa
con otto Cefeidi più vicine a noi. Osservando le stelle «faro» in
diversi periodi dell’anno e da diversi punti dell’orbita terrestre,
l’equipe è riuscita a tracciare una precisa misura della parallasse
stellare che lascia adito a ben pochi dubbi: la costante di Hubble,
risulta essere 73.45 ± 1.66 km/s/Mpc, un valore circa il 9% maggiore a
quella misurata nel 2015 con il satellite Planck, dell’Agenzia Spaziale
Europea. La differenza, è macroscopica in termini scientifici perché
pone le basi per una revisione della fisica del nostro Universo.
LA
PRIMA CONSTATAZIONE che è possibile dedurre è che la forza che
lancerebbe le galassie lontano le une dalle altre espandendo così
l’Universo, non sarebbe costante, ma assumerebbe valori diversi nel
tempo. Questo ha portato i fisici e gli astronomi a congetturare nuove
ipotesi sulla composizione del cosmo e sul suo destino futuro e finale.
Il
nuovo valore della costante di Hubble segna un punto a favore della
tesi del Big Rip (Grande Strappo) secondo cui l’accelerazione con cui il
nostro Universo si dilata porterebbe, con il tempo, ad allontanare le
galassie, le stelle e i pianeti gli uni dagli altri sino a rendere il
nostro spazio completamente scuro e freddo. In un Universo del genere,
in cui sarebbe impossibile osservare anche il minimo residuo di
spostamento verso il rosso (redshift) derivato dal Big Bang, l’energia
oscura sarebbe così elevata da prevalere su ogni altra forza riuscendo
alla fine a strappare (Rip) la materia ordinaria nelle sue particelle
elementari (fermioni, leptoni, bosoni).
NEL CAMPO DELLA RICERCA
più strettamente legata al nostro mondo, la scoperta del team di Riess
aprirebbe nuove idee su come possa essere definite la materia e
l’energia oscura. Una possibile ipotesi è che, così come la materia
ordinaria interagisce con la radiazione elettromagnetica, la materia
oscura potrebbe essere soggetta a interazioni con particelle a noi
invisibili come la radiazione oscura. Questa, a differenza delle
parallele radiazioni elettromagnetiche ordinarie, interagirebbe solo con
la gravità mediante nuovi tipi di particelle battezzate neutrini
sterili per distinguerle dai neutrini attivi conosciuti nel Modello
Standard, i quali, invece, interagiscono con le forze deboli.
Si
potrebbe anche ipotizzare che la materia oscura, che ad oggi si pensa
non abbia alcuna interazione con quella ordinaria, possa invece
influenzare le particelle elementari del Modello Standard per creare un
tessuto connettivo strettamente correlato che garantirebbe la vita
dell’Universo.
Tutte queste ipotesi hanno già aperto le porte a
nuove strade di ricerca scientifica che potrebbe portare a nuove e più
profonde deduzioni nei modelli sino ad oggi approntati sino a rivedere
scenari passati e futuri della vita del nostro Universo.
SCHEDA
Quando
il gesuita e astronomo belga Georges Lemaitre espose, durante il
Convegno di Solvay del 1927 a Bruxelles, la sua idea dell’atomo
primigenio ad Albert Einstein, questi la considerò un’idea abominevole.
In seguito lo stesso fisico tedesco si ravvide dell’errore quando Hubble
dimostrò che le galassie si allontanano causando il famoso redshift, o
spostamento verso il rosso. Oggi sappiamo che il nostro Universo, dal
Big Bang è invecchiato di 13,8 miliardi di anni. Pochi istanti dopo il
Big Bang si vennero a formare le particelle elementari, gluoni e quark e
le quattro forze che comandano l’attuale Universo (interazione forte,
debole, gravitazione e elettromagnetica) si separano. I primi atomi di
idrogeno e elio cominciarono ad apparire dopo 380.000 anni, ma si
dovette attendere un altro miliardo di anni perché questi atomi si
unissero per formare le prime galassie e le prime stelle. Quando queste
esaurirono il loro combustibile nucleare, vennero a prodursi gli
elementi pesanti che permisero la formazione di pianeti. Ma come
evolverà il nostro Universo? Le decine di ipotesi proposte dai
ricercatori si possono grosso modo suddividere in tre soluzioni, anche
se altre possibilità non si possono escludere a priori. Il Big Crunch
prevede che, quando la forza di espansione dovuta al Big Bang si
esaurirà, il cosmo subirà una contrazione che lo vedrebbe collassare in
una singolarità a cui potrebbe seguire un nuovo Big Bang.
Il Big
Freeze e il Big Rip contemplano un Universo in continua espansione sino a
raffreddarsi a tal punto che, per il primo modello, tutta la materia
verrebbe assorbita in buchi neri per evaporare nella radiazione di
Hawking, mentre per il secondo l’energia oscura dilanierebbe tutta la
materia sino a riportarla allo stato di particelle elementari. Vi sono
anche teorie che prevedono spin-off dei precedenti modelli per
presentare singoli Multiversi generati dai buchi bianchi di Hawking o
frattali collegati tra loro da stringhe o brani in cui ogni Multiverso
sarebbe governato da leggi fisiche differenti.