domenica 4 marzo 2018

Corriere 4.3.18
Riscoperte A Creta per rapire il generale La piccola Odissea del 1944
L’impresa sull’isola occupata dai nazisti narrata in un libro del 1950 ora tradotto in italiano per Adelphi
Il diario di William Stanley Moss, ufficiale inglese e futuro scrittore
di Corrado Stajano


Potrebbe sembrare uno dei tanti romanzi d’avventura, questo libro di W. Stanley Moss pubblicato ora da Adelphi. Già il titolo, Brutti incontri al chiaro di luna , è poeticamente deviante. È infatti un diario di guerra, la storia di un’impresa inimmaginabile. Due ufficiali inglesi, agenti del Soe, lo Special operations executive, i servizi operativi più sofisticati dell’epoca, la Seconda guerra mondiale, approdano segretamente a Creta dove le truppe tedesche, per l’importanza strategica dell’isola mediterranea, sono numerose e vigili in ogni angolo.
Dopo un’infinità di vicende rischiose — sembra che la vita non conti nulla — portano a buon fine quel che si prefiggevano di fare riuscendo a rapire in un’imboscata, con l’aiuto dei partigiani cretesi, il comandante della 22ª divisione Panzergrenadier generale Heinrich Kreipe e, senza torcergli un capello, lo conducono su una motolancia in Egitto, a Marsa Matruh e poi al Cairo. È un libro insolito, che prende il lettore per la limpida bellezza della sua scrittura, un diario unico senza modelli, tra bombe, fughe, agguati. Il tono del racconto va al di là dell’ understatement britannico, smorza, sorride, canta, protagonista una giovinezza appassionata vissuta con naturale coraggio, in nome della lotta per la libertà.
La storia si dipana tra l’aprile e il maggio 1944. L’autore del diario, Stanley Moss, detto Billy, è un giovane capitano di 22 anni. L’altro protagonista, il maggiore Patrick Leigh Fermor, detto Paddy, poco più anziano, è sempre presente nelle pagine che il compagno scrive, con la difficoltà di tenere un diario: nei momenti di sosta del lungo camminare, in qualche grotta, in una spelonca, in un ovile, vicino a un dirupo, davanti al mare di Omero, «color del vino». Billy — diventerà uno scrittore noto — deve sapere che l’eroe dell’ Odissea , nel suo viaggio a Troia, passò da Creta, dove lo spinse «la forza del vento».
L’impresa è impervia. I due ufficiali, che indossano l’uniforme tedesca, devono imparare a conoscere accuratamente i luoghi, i paesi e i paesani, il terreno, studiare un piano fattibile, prendere di mira l’automobile del generale quando ogni sera si muove dal suo comando per andare nella villa dove vive, neutralizzare la scorta, nella speranza che non ci siano sanguinose rappresaglie dei tedeschi contro la popolazione civile.
Moss è un giovane colto, si identifica con Jim Hawkins, il ragazzo avventuroso e piratesco dell’ Isola del tesoro di Stevenson. I richiami culturali, letterari soprattutto, sono numerosi, infilati nelle righe: il grasso e spiritoso cavaliere shakespeariano Sir John Falstaff, Picasso, Stavrogin, il personaggio dei Demoni di Dostoevskij, e poi François Villon, Erich von Stroheim, John Donne, Baudelaire, Eliot e anche Lucrezia de’ Medici, l’ Ultima duchessa della poesia di Robert Browning. Sa persino di moda, Moss, scrive di una guida che porta un berretto di lana sul capo e lo porta con eleganza, «come fosse un turbante di Elsa Schiaparelli».
La società dei contadini e dei pastori dell’isola, il più delle volte povera, si prodiga generosa per aiutare gli inglesi e i partigiani, gli andartes, e, appena può, privandosene, porta in dono cibo, vino, acqua.
Moss racconta deliziato di un pranzo nel giorno della Pasqua ortodossa: carne d’agnello e di montone, piatti di lenticchie, latte di capra, uova sode dipinte, formaggio mizithra, lumache arrosto, bottiglie di raki, anfore di vino a profusione. Prova solo orrore davanti agli occhi di agnello e ai genitali bolliti considerati dai cretesi la gran leccornia. (Sembra di ritornare nell’ Odissea , nel suo paesaggio incantato popolato di antichi pastori e, con loro, Afrodite, Calipso, i fantasmi di una storia antica di secoli all’ombra del monte Ida).
Ma non è facile per quegli uomini camminare per ore, vincere la stanchezza, nascondersi al primo rumore in qualche anfratto perché le pattuglie tedesche sanno degli inglesi e dei partigiani sulle montagne e possono spuntare all’improvviso. E poi devono studiare e ristudiare il piano dell’imboscata: percorrerà la strada che d’abitudine fa, Kreipe, la sera fissata per l’agguato? Lascerà alla stessa ora il quartier generale per recarsi all’alloggio di villa Ariadne sulla strada che conduce a Heraklion? E poi che cosa potrà accadere in un’isola presidiata da una guarnigione nazista di 10 mila uomini?
Il diario di Moss è minuzioso. Pubblicato nel dopoguerra, tradotto solo ora in italiano (da Gianni Pannofino), è un documento umanamente e storicamente importante. (Il film del 1957, diretto da Michael Powell e Emeric Pressburger, Colpo di mano a Creta , con Dirk Bogarde, riesce a rendere l’atmosfera di quell’avventura di guerra in modo realistico, ma assai meno fascinoso).
Gli uomini del Soe sono bene addestrati, sanno quel che fanno, non sono mai imprudenti, adusi alla fatica. Provano e riprovano il piano. Il 27 aprile 1944. «Ecco, lo abbiamo fatto»: «Ist dies das General’s Wagen?», «Ja, ja». (...) «Abbiamo spalancato le portiere e con la torcia abbiamo illuminato l’interno dell’auto: l’espressione sgomenta del generale, lo sguardo terrorizzato dell’autista». Tutto qui. Comincia la marcia di ritorno. Una motobarca deve arrivare alla spiaggia per caricare gli uomini dell’agguato e il generale. Di nuovo cammina cammina. Il generale è seccato per aver perso il berretto indossato ora da Paddy e soprattutto la croce di ferro che aveva al collo. Piagnucola, ma non fa storie. Conosce persino il greco antico. È anche lui una persona umana.
La reazione nazista è feroce: «Ieri sera il generale tedesco Kreipe è stato rapito da banditi. Si trova ora sulle montagne, a Creta, e il suo nascondiglio non può essere ignoto alla popolazione. Se il generale non sarà liberato nel giro di tre giorni, tutti i villaggi ribelli del distretto di Heraklion saranno rasi al suolo, e verranno adottate le più severe rappresaglie nei confronti della popolazione».
I tedeschi, non soltanto per il sequestro del generale, incendiano e fanno saltare in aria tutte le case di Anogia e bombardano a tappeto il paese. «Spesso — scrive Moss — non è raro che i civili vengano gettati vivi dentro le loro case. (...) La brutalità tedesca a Creta assumeva quasi sempre la forma del semplice sistematico massacro. Mancava del tutto l’artistica sottigliezza che ci permette, a volte, di nutrire un’inconfessata ammirazione per i Borgia, per i duchi di Milano, per i Malatesta di questo mondo. Era una violenza plateale e rozza».
Ma è finita. Anche il generale, zoppicando — in Egitto gli verranno resi gli onori delle armi — è riuscito ad arrivare alla spiaggia. I pastori, i partigiani cretesi che in quelle settimane hanno vissuto con gli inglesi in comunione fraterna, al momento dell’addio sono commossi.
«La falce della luna sembra un neonato candido adagiato sulla volta traslucida del cielo. (...) Il rumore dei nostri stivali sul terreno riecheggiava come se stessimo camminando su un deserto. (...) L’intera isola è svanita come una crosta di pane».