Il Fatto 4.3.18
Salone del Libro di Torino, due milioni di debiti in più. E il marchio si svaluta ancora
La Fondazione deve 8 milioni di euro ai creditori. L’ex direttore Picchioni: “È strano. Qualcuno vuole affossare la Fiera”
di Massimo Novelli
Uno
spettro si aggira, poco marxianamente, per Torino. È quello dei debiti,
stimati in 8 e rotti milioni di euro, della Fondazione per il Libro,
che fino allo scorso anno, prima di essere messa in liquidazione, aveva
organizzato il Salone del Libro. Nata nel 1994, la Fondazione vedeva
sedere nell’assemblea dei soci fondatori i rappresentanti del Comune di
Torino, della Città Metropolitana, della Regione Piemonte, del ministero
dei Beni Culturali, del ministero dell’Istruzione (poi defilatosi) e di
Intesa Sanpaolo.
Lo spettro dei conti in rosso non è una novità.
Tuttavia, secondo quanto trapela all’interno dello staff dirigenziale
della kermesse del Lingotto, il passivo si aggirerebbe ora sugli 8
milioni di euro. Circa un paio di milioni in più, insomma, rispetto al
passivo di 6 milioni che era emerso alla fine del 2017. Un bilancio
disastroso, dunque, determinato dalle esposizioni con le banche, almeno
3,3 milioni, che avevano anticipato i fondi all’ente organizzatore di
Librolandia, e poi dai 2,8 milioni da pagare ai fornitori delle ultime
edizioni del Salone del Libro. Se si aggiungono, però, gli effetti sul
bilancio derivanti dalle perdite del 2017, dalla individuazione di nuovi
debiti con i fornitori e soprattutto dalla drastica riduzione del
valore effettivo del marchio del Salone, allora, si può arrivare
tranquillamente a toccare gli 8 milioni, e forse di più. E proprio di 8
milioni parlava qualche giorno fa un dirigente del Salone, conversando
con alcuni addetti ai lavori alla Mole Antonelliana, durante la
presentazione della fiera di quest’anno.
Ad avere aggravato i
conti, in ogni caso, è stata anche la questione del marchio. In base
alla perizia che era stata commissionata a Icm Advisor nel 2009 da
Rolando Picchioni, per quindici anni alla guida di Librolandia, valeva
quasi 2 milioni di euro. Uscito di scena Picchioni, la valutazione è
stata riesaminata di recente dallo Studio Jacobacci & Partners,
che lo ha ridotto di dieci volte, attestandolo fra i 160 mila e i 200
mila euro. Provocando così una nuova voragine nei conti dell’ente.
Accantonato oltre due anni fa dal vertice della manifestazione, e
indagato, con una trentina di persone, dalla Procura torinese che cerca
di fare chiarezza sui presunti falsi in bilancio del Salone, Picchioni
non nasconde l’amarezza e avanza qualche sospetto. “Evidentemente”,
dice, “si vuole affossare il Salone. Mi domando come sia stato possibile
che il marchio sia passato da una valutazione di due milioni a quella
attuale di 200 mila ero.
Chi ha voluto tutto ciò? In giro per
Torino se ne sentono tante, non so che cosa pensare. Si mormora, per
esempio, che qualcuno abbia deciso di fare svalutare il marchio per
prendersi il Salone quasi a costo zero”. Quel marchio, aggiunge l’ex
timoniere della fiera libraria, “per cui GL Events, la società francese
proprietaria del Lingotto, nel 2014 era disposta a versare 300 mila euro
per acquisirne una quota del 20-25 per cento”. Ironia della sorte, ma
non troppo, GL Events è tra i maggiori creditori della vecchia
Fondazione, con 900 mila euro. Con quali fondi il liquidatore della
Fondazione per il Libro potrà pagare i debiti? La sola speranza è che
gli stessi soci fondatori, come Comune, Regione e ministeri, aprano i
proverbiali cordoni della borsa, ovvero rispettino gli impegni.
Nel
bilancio della defunta (o quasi) Fondazione per il Libro, infatti, sono
inseriti crediti attivi per oltre 5 milioni di euro. Tra questi ci sono
4,5 milioni, che dovrebbero arrivare dalla Regione Piemonte (con 1,7
milioni), dal Comune di Torino (1,5 milioni), dal ministero
dell’Istruzione (300 mila euro), dalle fondazioni bancarie e da altri
soggetti. Perché il paradosso di questo pasticciaccio brutto subalpino,
come faceva notare Ernesto Ferrero, a lungo direttore culturale del
Salone, è che “i crediti della politica sono ancora ben al di là da
essere pagati, e mi chiedo dove fossero, se non seduti al nostro tavolo,
i rappresentanti di Comune e Regione”.