il manifesto 30.3.18
Atac, due comitati per il No alla privatizzazione
Referendum
Consultivo. A due mesi dal voto promosso dai Radicali formato "Mejo de
no", fatto da lavoratori e consiglieri Pd. L’altro sarà fatto da
sinistra, urbanisti e comitati pendolari
di Massimo Franchi
Domenica
3 giugno i romani saranno chiamati ad esprimersi sul referendum
consultivo che chiede la messa a bando del servizio ora di Atac. Le 33
mila firme raccolte la scorsa estate dai Radicali hanno portato a questo
voto che sostanzialmente chiede di privatizzare l’azienda di trasporto
pubblico ora in concordato fallimentare per un debito stimato in un
miliardo e 300 milioni.
A poco più di due mesi dal voto parte la
mobilitazione sul fronte del No. Nel giro di pochi giorni si stanno
costituendo due distinti comitati. Il primo è stato costituito
formalmente ieri, si chiama «Mejo de no» ed è appoggiato – udite udite –
da parecchi consiglieri municipali del Pd, in aperta contrapposizione
ai Radicali (eletti in parlamento in coalizione col Pd) e a molti
esponenti che hanno appoggiato la lotta per la privatizzazione: l’ex
candidato sindaco Roberto Giachetti e colui che potrebbe esserlo fra tre
anni: Carlo Calenda.
L’altro sarà formalizzato mercoledì 4 aprile
in Campidoglio e sarà formato «da un fronte trasversale: partiti come
Leu e Potere al Popolo, comitati di cittadini come quello dei Pendolari
guidato da Maurizio Messina e urbanisti come Paolo Berdini e Vezio De
Lucia», annuncia Stefano Fassina.
Quanto al primo comitato ieri
una nota informava che «Mejo de No» ha come «scopo concretizzare un
percorso condiviso e diffuso nella città sulle ragioni del ‘No’ con
un’assemblea già convocata per il 3 aprile. Il comitato è lanciato da
lavoratori Atac che infatti stamattina saranno «davanti ai depositi di
Tor Sapienza e Grottarossa, ma anche davanti alla sede di Via Prenestina
e alla Stazione Termini. «Cerchiamo l’unità e la voce di quanti, dai
cittadini ai lavoratori, dagli utenti agli amministratori locali,
finanche agli studenti e agli intellettuali, credono che il trasporto
pubblico sia bene comune. Una campagna informativa unitaria e coerente –
conclude la nota – con l’idea che sia possibile un discorso diverso da
quello di una liberalizzazione non spiegata fino in fondo nei suoi
possibili effetti».
La situazione dell’azienda è sempre grave e la
gestione del concordato da parte della giunta Raggi e del nuovo
management appare tutt’altro che solida. A pagarne le spese sono stati
subito e come al solito i lavoratori. Lo scorso 8 marzo sono stati
licenziati 140 operai della Corpa, azienda a cui era appaltata la
manutenzione dei bus semplicemente perché l’appalto non è stato
rinnovato.
Il concordato chiesto al tribunale fallimentare per
evitare la chiusura doveva essere corredato da un piano di rientro. Lo
ha redatto il neo ad di Atac Paolo Simoni senza però soddisfare i
giudici che il 23 marzo hanno chiesto integrazioni, nuove garanzie e
documenti. Il 30 maggio si terrà l’udienza che deciderà sulla
sostenibilità del piano che dovrà poi essere approvato dai creditori per
evitare il fallimento.
«Il concordato è stata una scelta fatta
dalla giunta Raggi tenendo all’oscuro il consiglio comunale – denuncia
Stefano Fassina – . Per questo abbiamo chiesto un consiglio comunale
straordinario che si terrà dopo pasqua in cui chiederemo alla giunta di
chiarire la sua posizione. La buona riuscita del concordato è
imprescindibile per salvare l’azienda e i lavoratori ma finora le scelte
sono state improvvisate e non hanno tenuto conto che l’Atac è del
comune di Roma e quindi del consiglio, non della giunta».
Proprio
la posizione dei grillini sul referendum – non si esclude che anche loro
diano vita ad un comitato per il No – sarà decisiva per l’esito. Nel
frattempo Raggi ha sfruttato il concordato per scavalcare la scadenza
dell’affidamento ad Atac fino al 2019 e prolungarlo fino al dicembre
2021. Il tutto sebbene l’Antitrust abbia espresso un parere non
favorevole all’ipotesi.