il manifesto 2.3.18
Polonia, la legge sulla Shoah entra in vigore
Istituto
della Memoria Nazionale. Il provvedimento prevede fino a tre anni di
carcere per chi attribuisce alla nazione la responsabilità dei crimini
del nazismo tedesco o utilizza espressioni come «campi di sterminio
polacchi». Mentre l'Europarlamento approva l'attivazione dell'articolo 7
contro la riforma della giustizia, accusata di violare lo Stato di
diritto
di Giuseppe Sedia
VARSAVIA Il discusso
emendamento alla legge sull’Istituto della Memoria Nazionale (Ipn), che
prevede fino a tre anni di carcere per chi attribuisce alla Polonia la
responsabilità dei crimini del nazismo tedesco o utilizza espressioni
come «campi di sterminio polacchi», è ormai legge. Un provvedimento dai
confini incerti che mira più in generale a punire in patria e all’estero
ogni tentativo di attribuire alla nazione polacca «crimini contro
l’umanità, contro la pace nonché altri crimini durante la guerra».
Nelle
ultime settimane i fautori dell’emendamento e la diplomazia polacca
hanno continuato a ripetere come un mantra che storici e artisti sono
esclusi dal campo di applicazione della legge. Eppure tutto questo non è
riuscito a scongiurare la reazione stizzita degli Stati uniti e quella
ben più furiosa di Israele.
All’inizio di questa settimana una
delegazione polacca era volata a Tel Aviv per tentare di ricucire lo
strappo dando prova di buona volontà ma presentandosi comunque a mani
vuote visto che la legge e già stata firmata dal presidente Andrzej
Duda. Il governo della destra populista di Diritto e giustizia (PiS) ha
infatti ribadito il proprio nie a fare dietrofront nonostante il rinvio
non vincolante della legge al Tribunale costituzionale. «Non vedo la
possibilità di cambiare la legge né abbiamo intenzione di farlo», ha
dichiarato Bartosz Cichocki a capo della delegazione del ministero degli
affari esteri partita per Israele. «Entrambi i paesi vogliono che le
nostre relazioni ritornino alla normalità. E importante che tutte le
parti siano convinte di muoversi nell’ambito della verità storica», ha
spiegato il giornalista polacco conservatore e collaboratore dell’Ipn
Bronislaw Wildstein, conosciuto in patria per aver divulgato nel 2005 ai
media locali una lista di 240.000 persone che avrebbero collaborato in
passato con l’Sb, la polizia segreta della Polonia comunista.
La
presidente del Tribunale costituzionale, Julia Przylebska, entrata in
carica a dicembre 2016 durante il governo del PiS, ha affidato la
valutazione del provvedimento a una mini-commissione. Il gruppo da lei
presieduto riunirà altri 4 membri della corte, entrati in carica anche
loro durante il governo PiS (il Tribunale costituzionale della Polonia
si compone di quindici giudici nominati dal Sejm, la camera bassa del
parlamento polacco).
Ed è stato proprio il conflitto politico
sorto negli ultimi anni intorno alle nomine dei membri del Tribunale
costituzionale, e che ne avevano paralizzato il funzionamento, ad aver
attirato l’attenzione di Bruxelles. E tutto questo ancora prima della
riforma dei tribunali ordinari, del Consiglio nazionale della
magistratura (Krs) e della Corte suprema che hanno infine spinto l’Ue ad
adottare contro la Polonia la procedura prevista dall’articolo 7 del
Trattato di Lisbona per il rischio di violazione grave allo stato di
diritto. Un iter che ieri ha trovato il sostegno del Parlamento Ue in
una risoluzione che esorta gli stati membri «a stabilire rapidamente se
la Polonia è a rischio di violare gravemente i valori Ue».