Il Fatto 2.3.18
La Ue: “La legge anti-Shoah è contro lo Stato di diritto”
Sanzioni
pronte - La reazione di Bruxelles alla norma che condanna al carcere
chi sostiene il coinvolgimento dei polacchi nel genocidio nazista degli
ebrei
di Michela A. G. Iaccarino
In Polonia è
legge. In Europa è “opzione nucleare”. Nessun odwilz, disgelo tra
Bruxelles e Varsavia, dove ieri è entrata in vigore la controversa
“legge sull’Olocausto”. Per chi parla o scrive di “campi di
concentramento polacchi”, per chi associa “la nazione polacca ai crimini
nazisti”, la Polonia all’Olocausto, la pena è il carcere. Fino a tre
anni. Votata dal Sejm, la Camera Bassa, la legge è stata ratificata nei
giorni scorsi dal presidente Andrej Duda, che prima l’ha firmata, poi
inviata, per i diffusi dubbi sulla sua legittimità giuridica, alla Corte
costituzionale, che non si è ancora pronunciata. La storia riscritta
più di un quarto di secolo dopo, sotto bandiera bianca e rossa, nel
2018, si riassume così: fu colpa tedesca, di nessun altro, la
responsabilità dei nazisti, in nessun caso polacca.
Bruxelles non è
rimasta in silenzio. Al Parlamento europeo con 422 voti favorevoli, 147
contrari, 48 astensioni, cioè più dei due terzi dei voti necessari, è
stata approvata la risoluzione per l’applicazione dell’articolo 7 del
Trattato di Lisbona, per “rischio palese della violazione dello Stato di
diritto” nel più grande dei Paesi dell’ex blocco sovietico. La Polonia
ora rischia la sospensione del diritto di voto nelle istituzioni
europee, un’azione punitiva mai adottata in precedenza, quella che in
gergo nei corridoi dell’Unione chiamano “opzione nucleare”.
La
questione “nucleare” europea è pallida nei titoli d’apertura dei
giornali polacchi e ancor più nell’opinione pubblica, ma non lo è la
fusione atomica russa e il nuovo missile di Putin, che troneggia
verticale al suo posto sulle prime pagine.
Il quotidiano
Rzeczpospolita ha invece scelto di pubblicare un report del 1946 appena
apparso sul Jerusalem Post, un rapporto segreto e dettagliato degli
americani “sul terribile trattamento riservato agli ebrei in Polonia
prima, dopo, durante la Seconda guerra mondiale”.
Per la nuova
legge voci irate si sono levate per ricordare le responsabilità di chi
tra i polacchi favorì il Terzo Reich durante l’occupazione, ma sono
state quelle delle comunità ebraiche, da Varsavia fino a Gerusalemme,
non molte quelle della società civile polacca.
Non vecchie memorie
di antisemitismo, ma nuove di anti-polonialismo. Chi definì i campi di
concentramento “polacchi” fu nel 2012 Barack Obama, durante una
commemorazione. “Se proprio il presidente degli Stati Uniti fa cose come
questa, è un allarme che le cose vanno cambiate, l’anti-polonialismo
nel mondo diventa potente per mancanza di reazioni dalla Polonia.
Chi
critica la legge, lo fa per sentimenti “anti-polacchi”, ha detto il
premier Mateusz Morawiecki che proprio cinque giorni fa, per le continue
proteste del governo Netanyahu, aveva congelato la procedura.
Nel
Paese dove sono già a rischio libertà dell’informazione, delle donne,
delle minoranze, indipendenza delle autorità giudiziarie, per fermare
l’“opzione nucleare”, effettiva solo se votata da tutti i 27 Stati
membri, rimane un solo alleato, quello che ha detto di star “volutamente
costruendo uno Stato illiberale” in Europa, il primo ministro
d’Ungheria, Viktor Orban. Pochi giorni fa, il vicepresidente della
Commissione europea, Frans Timmermans, ha ricordato che “tanti eroi
hanno resistito ai nazisti, ma tanti hanno collaborato ai loro piani”.
Il
primo allarme di Timmermans per l’applicazione dell’articolo 7 risale
allo scorso dicembre: “Negli ultimi due anni il governo polacco ha messo
a rischio la democrazia con almeno 13 leggi, it’s not about Poland, but
about EU as a whole, non si tratta della Polonia, ma dell’Europa
intera”.