il manifesto 29.3.18
Boeri contro i Cinque Stelle: è scontro sui costi del reddito minimo
Stato
asociale. Il governo uscente e il presidente dell'Inps a fine mandato
polemizzano con il Movimento 5 Stelle sui costi del "reddito di
cittadinanza", in realtà un "reddito minimo". Numeri sulle spalle di
precari e disoccupati. Il presidente dell’Inps: «Vale 38 miliardi». M5S
reagisce: «Basta bugie: l’Istat dice 14,9». Al prossimo esecutivo è
stato chiesto di continuare a finanziare l'attuale "reddito di
inclusione" (ReI): un reddito minimo modesto che esclude l'80 per cento
dei poveri assoluti anche se si cerca di allargare la platea
di Roberto Ciccarelli
Lo
scontro sui costi del fantomatico «reddito di cittadinanza» del
Movimento 5 stelle – in realtà un reddito minimo condizionato
all’inserimento lavorativo e alla riqualificazione professionale –
continua. Ieri l’hanno rilanciato il governo uscente, con il presidente
del Consiglio Gentiloni e il ministro del lavoro Poletti, e il
presidente dell’Inps in scadenza, Tito Boeri che ha precisato di essere
«alla fine del mandato» e di applicare «in ogni caso quello che decidono
i governi».
L’OCCASIONE è stata fornita dalla presentazione dei
dati dell’osservatorio statistico sul reddito di inclusione (Rei),
ovvero una misura contro la povertà sotto-finanziata, non universale,
selettiva e condizionata all’accettazione di un’offerta di un lavoro,
pena la perdita del diritto di beneficiare di massimo 485,41 euro al
mese (per una famiglia di 5 o più individui); 382 euro (per quattro);
294 (tre); 294 (due); 187 (uno).
NEL PRIMO TRIMESTRE 2018
l’importo medio mensile del ReI è di 297 euro e varia da un minimo di
225 euro per la Valle d’Aosta ai 328 per la Campania. Le regioni del sud
hanno valore medio più alto di quelle del Nord e del Centro. Il ReI
avrebbe raggiunto 317 mila persone, 110 mila famiglie, sette su dieci
risiedono al Sud. Altre 477 mila hanno avuto il sostegno di inclusione
attiva (Sia), una Social Card 2.0 assorbita dal ReI. L’intenzione è
quella di raggiungere una platea di 2,5 milioni di persone che dovranno
spartirsi 1,7 miliardi nel 2018, 1,845 miliardi a decorrere dal 2019
molto più vasta di quella inizialmente prevista (1,8 milioni di
individui, 500 mila famiglie):, parte delle quali destinate a rafforzare
i servizi. Toccherà al prossimo governo, quando ci sarà, trovare le
risorse per rifinanziare la misura.
PUR CON ALCUNE differenze – il
ReI è rivolto alle famiglie, il «reddito» dei Cinque Stelle agli
individui – gli strumenti rispondono alla stessa logica. Il ReI, voluto
dal Pd, è sottofinanziato, quello di M5S sarebbe pari a 14,9 miliardi
all’anno (stima Istat nel 2016). Lo stesso governo targato Pd, anche su
impulso dell’ «Alleanza contro le povertà» (composta anche da Acli,
Caritas e Cgil), ha riconosciuto che il ReI è sotto-finanziato e avrebbe
bisogno di 7 miliardi all’anno per coprire 4 milioni e 742 individui. I
Cinque Stelle pensano di ampliarlo ai poveri relativi 8 milioni e
465mila persone. Per questo è più alto. Il reddito dei Cinque Stelle
arriva fino a 780 euro, calcolato sul 60% del reddito mediano netto,
destinato a decrescere in un ristretto periodo di tempo e a condizione
di non rifiutare una offerta di lavoro su tre. Sono gli stessi criteri
del ReI, i pilastri delle politiche neo-liberali del lavoro:
obbligatorietà, condizionatezza e attivazione finalizzata
all’«occupabilità» del precario o del disoccupato. Cambiano solo le
modalità di applicazione e gli importi. Una continuità oscurata anche
ieri nel teatro della propaganda permanente post-4 marzo.
L’ESECUTIVO
targato Pd e l’Inps, di nomina governativa, hanno rilanciato una
leggenda creata dagli stessi Cinque Stelle: il loro è un «reddito di
cittadinanza», costoso e inapplicabile. «Costerebbe ra i 35 ed i 38
miliardi di euro» ha sostenuto Boeri che ha «rimproverato» chi ha
«imbracciato la bandiera del reddito minimo» dopo avere «scoperto nelle
ultime settimane una misura che già c’è».
OSSERVAZIONE ingenerosa
perché i Cinque Stelle propongono il loro controverso «reddito» dal 2013
(allora lo fece anche la SeL di Vendola che appoggiò una proposta di
legge sostenuta dai movimenti e dal Basic Income Network Italia, qui
l’intervista al presidente dell’associazione Luca Santini). È accaduto
ben prima che il Pd si svegliasse quattro anni dopo con il «Rei». «La
mia impressione è che Boeri conosca la materia meglio dei 5 Stelle» ha
aggiunto Carlo Calenda, premendo il tasto dell’«incompetenza» dei Cinque
Stelle, un argomento che non ha giovato al Pd nella disfatta del
renzismo. Gentiloni, impegnato a difendere l’operato del governo
uscente, ha chiesto di «non buttare a mare il lavoro fatto per la fiera
delle velleità». «Basta bugie», hanno risposto i capigruppo di Camera e
Senato M5S, Giulia Grillo e Danilo Toninelli. «Per l’Istat costa 14,9
miliardi di euro più 2 miliardi per riformare i Centri per l’Impiego».
Lo scontro sulle cifre prosegue da anni. Nel 2015 l’Inps calcolò 29
miliardi. «Boeri si concentri piuttosto sul clamoroso pasticcio relativo
al cumulo pensionistico gratuito per i professionisti. Abbiamo 15 mesi
di ritardo e tanta gente che nel frattempo è andata in quiescenza
sperando in quella certezza del diritto che le istituzioni non riescono
affatto a garantire», la senatrice Nunzia Catalfo che ha seguito
l’elaborazione del reddito per i Cinque Stelle.
LA POLEMICA
riguarda solo i conti, ma non la questione etico-politica se sia giusto
sottomettere i vulnerabili alla tragica scelta tra il ricatto del lavoro
qualsiasi in cambio di un sussidio e lo spettro di essere considerati
«buoni a nulla» ma disponibili a fare qualsiasi cosa per meritare «i
sussidi». Su questo aspetto tutti sembrano d’accordo. Il problema non è
nemmeno percepito, ma costituisce il dilemma del «workfare» che si vuole
istituire anche in Italia. Basta vedere il film di Ken Loach: «Io,
Daniel Blake».