il manifesto 27.3.18
Viaggio nell’ex Emilia rossa che ha tradito il Pd per la Lega
Dopo il voto. Paura degli immigrati, crisi economica e diffidenza verso l’Europa dietro il tracollo dem
di Giovanni Stinco
FERRARA
«Il mio nome? No, no, non serve». E allora lo chiameremo Carlo.
Quaranta anni appena compiuti, lo incontriamo di venerdì a mezzogiorno
nella piazzetta principale di Comacchio. Con la sua bicicletta, cappello
guanti e giaccone per affrontare il freddo e l’umidità di questo
paesino del ferrarese, vicino al Veneto e a meno di 50 chilometri dal
Delta del Po. «Cos’ho votato? Ho votato per Matteo Salvini, e lo
rivoterei anche domani se me lo chiedessero». Te lo dice in faccia,
senza il minimo dubbio. E aggiunge: «Perché bisogna cambiare, perché qui
la sinistra ha governato da decenni e io non ho un lavoro fisso, con i
lavoretti in nero mi pago le serate e le pizze il sabato sera con gli
amici ma dipendo ancora dai miei genitori. E allora ti dico che il
centro sinistra deve finire sotto terra, non farsi più vedere punto e
basta».
ACCANTO A LUI tre quasi sessantenni, un contadino e due
operai. Dicono di essere stanchi, la pensione il loro orizzonte di
speranza. Un’attesa che però vedono allungarsi, anno dopo anno. «Perché
Lega? Perché Salvini ha promesso di abolire la riforma Fornero», dice
uno di loro. «Lo vedi Claudio là in fondo alla via? Va per i 65 anni e
ancora non può smettere di lavorare, invece ai migranti danno vitto,
alloggio e tutto quel che serve. Ti sembra giusto?». «Ho votato 5
Stelle», dice un terzo signore sulla sessantina. «Ma avrei potuto
benissimo votare Lega, per me è uguale. Qui bisogna cambiare, e se tu
hai votato sinistra non dirlo – aggiunge in dialetto, ridendo sotto i
baffoni bianchi – che qui quelli rossi non li vogliamo più vedere».
Il
risultato alla Camera nel collegio 4 Ferrara-Mare ha visto Lega, 5
Stelle e Pd praticamente alla pari, tutti al 27.4%. Ma la destra ha
stravinto come coalizione. Così l’avvocata Tomasi è passata col 39,6%,
mentre il ministro Franceschini è stato sonoramente bocciato col 29%,
ripescato altrove grazie al paracadute del proporzionale. Al senato per
il Pd non è andata meglio. Nel collegio di Ferrara-Imola la sfida era
tra la prodiana Sandra Zampa e l’ex missino ora FdI Alberto Balboni. Un
candidato dell’ultradestra contro un volto noto Pd che al Senato aveva
dedicato 5 anni alla difesa dei più deboli, opponendosi ai Centri di
identificazione ed espulsione e lavorando per i diritti dei minori
stranieri. Risultato? Zampa fuori dal parlamento. Non è successo solo a
Ferrara, in tutta l’Emilia-Romagna il Pd ha tenuto a stento nelle grandi
città, a Bologna e provincia, a Reggio, in parte a Modena. Per il resto
l’ondata azzurro Salvini e giallo 5 Stelle ha sommerso il rosso sempre
più sbiadito di un Pd e di un’amministrazione che, a livello regionale,
resta pur sempre il prodotto di un’astensione monstre.
NEL 2014,
alle ultime elezioni regionali, ad essere eletto governatore fu il
democratico Stefano Bonaccini ma votò solo il 37,7% degli aventi diritto
contro il 68 delle elezioni precedenti. Un campanello di allarme che
forse ha suonato a vuoto per quattro anni di fila. Oggi in
Emilia-Romagna la prima coalizione è quella dell’asse Salvini-Berlusconi
(rispettivamente con il 19% e il 10% dei voti, a cui bisogna aggiungere
il 3% di FdI), il primo partito il Movimento 5 Stelle (con il 26,94%
dei voti, pochi decimali sopra il voto Pd). La sinistra di Liberi e
Uguali fa meglio che altrove in Italia, ma resta comunque sotto il 5%. I
dati dicono che rispetto al 2013 il Pd in regione ha perso 350 mila
voti, la Lega ne ha guadagnati 389 mila. Un boom, quello leghista anche
dovuto alla martellante propaganda televisiva dei volti noti del
salvinismo. «I migranti sono ovunque, siamo invasi», dicono gli
elettori-telespettatori, nel ferrarese come in tutta la Regione, e
questo nonostante l’Emilia sia tutt’ora un territorio dove l’accoglienza
ha funzionato bene, e dove molti sono stati i progetti di integrazione
messi in campo. Ma non ci sono solo fattori nazionali, o geografici
visto che Ferrara non è lontanissima dal Veneto verde Lega.
NEL
CAPITOLO dedicato a Ferrara nel volume «Viaggio in Italia» edito dal
Mulino l’ex sindaco oggi sindacalista Cgil Gaetano Sateriale ha
raccontato le difficoltà di un territorio che in passato era riuscito a
togliersi di dosso l’etichetta di «mezzogiorno d’Emilia», con una buona
politica industriale e una saggia amministrazione nel corso dei decenni.
La crisi, il terremoto e il crack della locale Cassa di Risparmio hanno
però lasciato il segno. «Nella stagnazione conseguente – ha scritto
Sateriale – quel che in parte ha ceduto è stato il tessuto economico
legato a un mercato esclusivamente interno e locale, incapace per
dimensione e competenze di misurarsi con una domanda e una competizione
ben più vaste». Il crack di Carife è stato un piccolo simbolo
dell’incapacità della classe dirigente Pd di risolvere in tempi utili
problemi sentitissimi, visto che il disastro bancario ha colpito
migliaia di piccoli risparmiatori. «Le banche sono state salvate e i
risparmiatori ancora non hanno riottenuto i loro soldi, quindi nell’urna
hanno poi messo la x dove doveva metterla, perché c’è chi ci ha
ascoltato e chi no», ha sentenziato Giovanna Mazzoni, ferrarese e volto
notissimo dei comitati No Salva Banche.
A PROPOSITO di denaro: a
Ferrara e provincia il reddito procapite è di quasi 25 mila euro l’anno
(dato 2016), poco al di sotto della media nazionale ma decisamente più
basso dei 33 mila euro di media dell’Emilia-Romagna nel suo complesso.
La provincia di Ferrara nel suo contesto è povera, e la crisi ha segnato
profondamente la fiducia delle persone. Dal 2008 al 2014 la variazione
del reddito pro capite – dati Istat – ha toccato un meno 7%. Un tonfo
mentre altrove in Regione l’economia reggeva. Dati che aiutano anche a
mettere in prospettiva i risultati superiori ad ogni attesa che la Lega
di Salvini ha avuto in questi territori. A Ferrara, a Comacchio, ma
anche 40 chilometri più in là, a Goro, il paese famoso per le barricate
anti immigrati del 2015. Nella frazione di Gorino la Lega ha stracciato
la concorrenza, portandosi a casa 6 voti su 10. Razzismo? Paura dei
migranti? L’ostilità c’è, ma non è solo questo. Basta fare un giro nel
porto di Goro, con le barche dei pescatori ancorate una accanto
all’altra. I discorsi che si sentono non parlano di africani, ma di
pescherecci, vongole e politiche della pesca. La parola che spunta
sempre fuori quando si parla di politica è una: Europa.
La
neoeletta leghista Maura Tomasi non fa mistero di averci puntato:
«Abbiamo detto prima gli italiani, ma per noi quello slogan vuol dire
andare a Bruxelles a sistemare le cose, vuol dire difendere i nostri
posti di lavoro». «Ho votato 5 Stelle – dice un pescatore – perché è da
anni che mio figlio tenta di comprarsi una barca tutta sua, e invece le
banche gli dicono sempre di no». Questione complessa quella sulla pesca,
con rivalità che non serve cercare dall’altra lato dell’Adriatico,
basta guardare su a nord verso il Veneto. Ma se si chiede una sintesi a
questi uomini di mare la risposta è sempre uguale. «Le regole europee
sulla pesca ci stanno strangolando, qui non usciamo più come una volta»,
dice un signore di 50 anni mentre scarica casse piene di pesce. Poi
aggiunge sottovoce: «Allora quando andiamo al largo per fare due soldi
ci tocca violare la legge, ma non sono quelle le regole che noi
vogliamo. La Lega ha promesso di difenderci, speriamo ora Salvini faccia
quel che ha detto».