il manifesto 27.3.18
La società che davanti al voto si dilegua
di Enzo Scandurra
Cosa
è successo alla politica che non comprendiamo? Perché dopo il grande
successo referendario siamo arrivati a un governo che si annuncia
inquietante? E perché la sinistra è diventata così tanto odiosa agli
occhi della gente?
In politica non è dato il lutto, quella fase di
ripensamento doloroso necessario per metabolizzare gli errori e
riprendere a vivere; il lutto richiede tempo, il tempo del lutto: kairos
lo chiamavano i greci; un lutto collettivo è impensabile dati i tempi
della decisione che ha una ricaduta immediata sulla vita delle persone
in carne ed ossa (immigrazione, ius soli, scuola, ecc.).
Che fare
dunque? Riazzerare tutto? E chi ci garantisce che non si ripercorrerebbe
la stessa strada andando incontro agli stessi problemi e alla stessa
tragica sorte?
Eppure, come ha affermato Gaetano Azzariti (il
manifesto del 24 marzo) un popolo cosciente, in occasione del
referendum, era sceso in campo contro la stessa volontà dei partiti,
aveva riempito le piazze e i luoghi della discussione pubblica, un
popolo scomparso il giorno del voto.
I partiti vincenti rappresentano solo la pancia del paese e interpretano strumentalmente le esigenze degli abitanti.
Per
la sinistra un partito non c’è più, si è progressivamente prosciugato,
scolorito inseguendo le magnifiche sorti annunciate dal neoliberismo, la
sua ideologia dei consumi e dell’individuo fai-da-te. E’ diventato
incolore, sbiadito, un sepolcro imbiancato da cui la vita (politica) è
sfuggita per andare altrove, per riempire il bottino elettorale dei
5stelle o addirittura della Lega.
Perché a sinistra del Pd,
bisogna ammetterlo, non è nato nulla che possa dare una speranza (se non
un modesto terreno residuale di LeU e Potere al Popolo).
La
stessa parola sinistra è diventata odiosa: sei ancora di sinistra? Ti
senti spesso dire come fossi una reliquia del passato, come se ancora
ascoltassi le canzoni di Tony Dallara e i suoi gorgheggi a singhiozzo.
Resta
una sinistra sociale disorganizzata che non ha rappresentanti, afona,
dunque inefficace politicamente. Bisognerebbe dare fiato a questa
sinistra sociale, l’unica che non arretra, che è molecolarizzata nelle
pratiche quotidiane, negli episodi di solidarietà ai migranti,
nell’accoglienza, nella produzione di cibo buono non adulterato, nelle
scuole, nelle università.
Il referendum lo ha dimostrato: sono
molti di più di quanto crediamo, sono un popolo. Ma quando si arriva al
voto essa si disperde, cerca i suoi rappresentanti in ordine sparso,
perde la sua carica antagonista, si sfibra, muore sciogliendosi
nell’informe o nella regressione.
La sinistra sociale non chiede
un partito, non almeno di quelli che abbiamo conosciuto nella storia;
purtroppo la sua forza è proprio questa: aver metabolizzato e
capitalizzato l’esaurimento dei partiti (ancora una volta il referendum
lo ha dimostrato).
Oggi nessuno andrebbe più a una manifestazione
indetta da un partito; il popolo invece partecipa in massa a
manifestazione contro il razzismo, contro il femminicidio, contro la
“buona scuola”, per la ricerca, per l’inquinamento, per il consumo di
suolo e la cementificazione progressiva di coste e territori.
Dunque
una sinistra c’è, è al lavoro ogni giorno, prende iniziative lontano
dai partiti, ma evapora quando si tratta di rappresentarsi nelle forme
tradizionali.
E’ un’indicazione di lavoro politico.