il manifesto 25.3.18
Rivalutata la volontà popolare a partire dalla Carta
di Carlo Freccero
Fico
ha fatto alla Camera un discorso bellissimo e insieme di grande
restaurazione. Ha esordito con l’omaggio al presidente della Repubblica,
ha proseguito con la centralità del parlamento come luogo in cui trova
espressione la volontà popolare.
Ma proprio per il suo voler
rivalutare la Costituzione, il suo discorso è stato contemporaneamente
innovativo e rivoluzionario. Il primo riferimento che è stato fatto è
alla Resistenza come premessa per la creazione della Carta
Costituzionale. Ma c’era un secondo fronte a cui faceva tacitamente
riferimento: il fronte per il No al referendum renziano. Questo fronte
rappresenta la nuova linea di resistenza che ha saputo opporsi
all’abrogazione dello spirito di una costituzione che J.P. Morgan ha
definito “socialista”. Come può un partito sedicente di sinistra
chiedere l’abrogazione proprio di quanto la nostra Costituzione conserva
di solidale, a favore di efficienza e globalizzazione?
Il
discorso di Fico prende le distanze da gli ultimi governi che hanno
pensato di poter ignorare la volontà dei cittadini per esprimere riforme
fortemente volute dalle élites internazionali. Lo spirito della
Costituzione è stato alterato, conferendo di fatto all’esecutivo, poteri
che sono dei cittadini e quindi delle Camere. Negli ultimi anni lo
strumento del decreto legge, della legislazione d’urgenza, è stato
applicato senza che esistessero quei presupposti che ne giustificano
l’uso. Non solo. Il parlamento si è trovato ad approvare leggi frutto
non del dibattito parlamentare, ma di pressioni esterne di lobby o
organizzazioni internazionali. Emerge, tra le righe, anche il fantasma
dell’Europa sempre soggetta più a leggi e normative economiche non
espressione del volere popolare. Ed emerge il paradosso per cui, non può
esserci democrazia senza comunità di cittadini. Una sorta di sovranismo
che però non esclude l’idea di Europa, purché l’Europa sappia
ricostruirsi dal basso come comunità. Il discorso di Fico dice che ora
la parola deve tornare ai cittadini. E il luogo di espressione della
volontà popolare è rappresentato dal Parlamento. Quindi non ammetterà
pressioni esterne, leggi poco chiare, scorciatoie verso l’abolizione del
dibattito parlamentare. I cittadini devono poter pensare che il
parlamento agisca per il bene comune. Si tocca così con mano il concetto
di democrazia rappresentativa che vuol esprimere. Non un mandato privo
di verifiche, ma un rapporto costante e continuo tra delegante e
delegato. Non potendo applicare su scala nazionale il mito della
democrazia diretta, la rappresentanza viene nuovamente vista come un
rapporto diretto, a briglia corta, tra elettore ed eletto. Sul modello
americano nel recente passato abbiamo introiettato un tipo di democrazia
che si avvicina più ad una oligarchia o, nella migliore delle ipotesi,
ad una aristocrazia.
Pensiamo al dibattito scaturito poco tempo fa
intorno a Scalfari, che affermava con certezza che le democrazie
moderne sono espressione di élite che agiscono per il bene di un popolo
inconsapevole. Il discorso di Fico invece rivaluta la volontà popolare a
partire dalla nostra Costituzione. E, devo ammetterlo, apre alla
speranza e alla solidarietà. Vigileremo.