il manifesto 24.3.18
Pechino risponde ai dazi Usa colpendo la «base» di Trump
La
guerra dei dazi. Sanzioni per 128 prodotti. Colpita l’agricoltura
americana, cuore elettorale di «The Donald». Rischia grosso anche Apple
di Simone Pieranni
Da
buona prima partner commerciale degli Stati uniti, la Cina non poteva
certo rimanere immobile di fronte ai dazi decisi da Trump contro molte
merci cinesi.
COSÌ, NELLA MATTINATA DI IERI, Pechino ha fatto
sapere di avere già deciso una prima contro-mossa, andando a colpire 128
prodotti statunitensi con diversi tipi di sanzioni.
Si tratta di
una prima risposta: forse Pechino aspetterà di tornare a discutere con
Trump – di cui ha sofferto una decisione «unilaterale» – prima di optare
per altre decisioni; la Cina infatti ha parecchie frecce al suo arco, a
cominciare dal debito americano, per proseguire con la possibilità di
rendere molto difficile il mercato cinese ad aziende statunitensi
(pensiamo alla Apple).
NEL PRIMO MAZZO di prodotti americani
sanzionati sono finiti per lo più merci derivanti dall’agricoltura. In
un colpo solo la Cina fornisce una sberla di circa tre miliardi di
dollari agli Usa e va a provocare le corde di quel mondo agricolo che ha
contribuito non poco – insieme alle zone più industriali a rischio
dismissione – all’elezioni alla presidenza di Donald Trump.
QUELL’AMERICA
rimasta colpita dalla globalizzazione, così desiderosa di eleggere un
presidente protezionista, sperimenterà questa guerra commerciale avviata
dal «loro» presidente.
Anzi, viene colpito proprio un settore
che, solo un anno fa, era stato esaltato da Trump come motore di una
nuova relazione con la Cina, ovvero la produzione americana di carne.
Cina e Usa avevano infatti stretto un accordo, proprio per diminuire il
disavanzo commerciale Usa, per esportare in Cina la carne. E
ORA
PECHINO ha imposto di tasse al 25% su otto prodotti, tra cui proprio
l’importazione di carne di maiale. Ugualmente ha fatto sull’ alluminio
riciclato. Colpiti con diversa sanzione, al 15%, altri cento prodotti
tra cui frutta, il vino e i tubi di acciaio. Insomma siamo solo
all’inizio delle danze, perché è ipotizzabile che a breve Pechio potrà
irrigidire i controlli sdi sicurezza alimentare e sanitari su altri
prodotti e procedere poi a sanzionarne altri.
Si è parlato dei
Boeing, che da tempo la Cina pare voler sostituire e altre merci. In
generale la Cina sembra voler rispondere colpo su colpo nonostante i
tentativi di apertura provati fino a pochi minuti precedenti alla
decisione di Donald Trump.
NON SOLO DAZI, però, perché le parole
utilizzate ieri dal presidente americano a proposito del disavanzo
commerciale con la Cina non hanno convinto tutti. Citando i dati forniti
da economisti cinesi, il ministro del Commercio cinese, Zhong Shan ha
sostenuto che il disavanzo commerciale annuo degli Stati uniti nei
confronti della Cina sarebbe inferiore del 20 per cento a quanto
affermato da Washington.
Lo scorso anno gli Usa hanno riportato un
deficit commerciale di 375 miliardi nei confronti della Cina: una
riduzione del 20 per cento farebbe comunque di quello con la Cina il
deficit commerciale più vasto dell’economia Usa. Il ministro del
Commercio cinese ha poi specificato che parte dello squilibrio
commerciale agli ostacoli imposti da Washington alle esportazioni di
prodotti tecnologici come supercomputer e materiali avanzati verso la
Cina. Il governo Usa, invece, afferma da sempre, nell’era Trump, che
quelle esportazioni ridurrebbero lo squilibrio commerciale di pochi
punti commerciali, al costo però di possibili minacce alla sicurezza
nazionale statunitense. Scatenato sul tema il quotidiano ultra
nazionalista cinese, Global Times. Anche sulle sanzioni la sua posizione
è irriducibile: «Washington dovrebbe abbandonare l’idea che la Cina si
ritirerà in questa guerra commerciale, perché non troverà bandiere
bianche a marcare la resa della Cina».